RE ARTU’ NELL’ETNA

(Gianfranco Romagnoli)

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Artù, re dei Bretoni, è il protagonista delle leggende del cosiddetto Ciclo arturiano o della Tavola Rotonda, le cui prime attestazioni, tra le tante, appaiono nel VI secolo. Sulla natura storica o leggendaria della figura di questo sovrano si è molto discusso: secondo una delle tante tesi, si tratterebbe di un condottiero romano-britannico, vissuto tra il V e il VI secolo. La sconfitta dei Bretoni ad opera dei Sassoni, in una battaglia nella quale Artù sarebbe rimasto ucciso, diede origine a varie leggende: secondo una di esse, riflettente il desiderio degli sconfitti, il sovrano bretone non sarebbe in realtà morto ma, rimasto ferito, sarebbe stato trasportato nell’isola incantata di Avalon, dove avrebbe dovuto rimanere, immune dalla morte, per un tempo indeterminato, sino al suo ritorno nel mondo per restaurare il suo regno. A partire dal secolo XII è però documentata una diversa tradizione, che fa arrivare Artù in Sicilia, ponendo la sua dimora incantata in un ameno sito all’interno dell’Etna.

Tale tradizione è attestata nell’opera Otia di Gervasio da Tilbury, che fu in Sicilia al servizio di re Guglielmo intorno al 1190; da Cesario di Heisterbach, nel suo Dialogus miracolorum, che pure fu in Sicilia al tempo quando l’Isola fu conquistata da Enrico IV (1294) e dal poema francese Florian et Forete, del secolo XIII o forse del successivo. Il sito magico ove Artù risiede non è, tuttavia, descritto come inaccessibile ai mortali: le prime due opere citate narrano infatti di un garzone di un vescovo o di un diverso alto prelato, che essendogli sfuggito un cavallo del suo padrone lo inseguì fin dentro il vulcano, giungendo in un sito ameno dove fu ricevuto in uno splendido palazzo da Artù, che gli fece restituire l’animale dandogli inoltre ricchi doni per il suo padrone. Il poema francese narra invece che nel palazzo alloggiava Morgana, la sorellastra di Artù, che preservò dalla imminente morte il protagonista e la sua sposa prendendoli ad abitare con sè, affermando inoltre che altrettanto avrebbe fatto con Artù quando questi sarebbe stato prossimo a morire. Una diversa versione di Stefano di Borbone (morto circa nel 1261), pur ricalcando il tema del garzone giunto per caso al palazzo incantato, introduce invece nella leggenda elementi infernali e diabolici. La leggenda di Artù nell’Etna non sembra nata in Sicilia, perché non se ne trova traccia in miti locali, tutti improntati all’antichità classica, né riscontro nella popolarità del ciclo bretone, qui inesistente a differenza del ciclo carolingio dei paladini, fatto proprio dai Siciliani; i quali inoltre consideravano il vulcano nel suo aspetto terrifico, certamente non adatto a racchiudere siti ameni. Essa presenta, invece, caratteri riscontrabili nelle leggende germaniche, come i doni offerti all’ospite ed il risiedere all’interno di un monte di grandi personaggi, quali Carlo Magno, Federico II, Carlo V, ritenuti non morti, ma pronti a tornare un giorno tra gli uomini. Ci si chiede allora come tale tradizione sia giunta in Sicilia: potrebbe pensarsi alla documentata opera dei trovatori, arrivati in Italia nella seconda metà del secolo XII, ma l’onomastica del ciclo bretone è qui presente da molto prima. La conclusione logica, anche se non supportata da prove documentali, è che la leggenda sia venuta con i Normanni, i quali attribuirono all’intera Sicilia la qualità di isola incantata già propria di Avalon e identificarono l’Etna, quale più alto monte dell’Isola, come la sede adatta all’eroe che doveva un giorno tornare nel mondo, conformemente alle leggende germaniche, così fuse con la tradizione precedente. Peraltro, la presenza in Sicilia, non altrimenti spiegabile, di personaggi del ciclo arturiano trova riscontro nel fenomeno ancora oggi detto della Fata Morgana, visibile in particolari condizioni sullo Stretto di Messina, al cui centro, in profondità, si troverebbe il suo magnifico palazzo di cristallo.

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