OPERE POETICHE SULLA MORTE DI ATAHUALPA
(Gianfranco Romagnoli)
La tragica fine dell’imperatore Inca Atahualpa, crudelmente ucciso dagli Spagnoli mediante garrota il 26 luglio 1533, costituì per la popolazione indigena vinta un trauma, rimasto vivo come doloroso ricordo anche nel moderno Perù. Oltre a opere teatrali, come quella di cui ho parlato nello scorso numero del Vesprino, ispirò varie opere poetiche.
Fornisco qui appresso una mia traduzione della poesia di Domingo Vivero La muerte de Atahualpa, pubblicata a Lima, in La revista peruana, nel 1879, che ricorda la funesta profezia della fine dell’impero:
I
Era di notte: sanguinose faci
il rogo del tormento illuminava.
Con essa l’Inca, altero il portamento,
il fanatismo in un uomo incarnato,
orazioni di morte mormorava
mentre l’eco i lamenti ripeteva
dell’incaica turba dolorosa.
“Piangiamo e seppelliamoci – un anziano
con volto cadaverico esclamava –
chè la livida fiamma di quel fuoco
la nostra razza va ad incenerire.
Si realizza il pronostico sinistro…
Ed il nemico dalla folta barba
muta in deserto i già fioriti campi
ed a terra rovescia il nostro impero!
Senza imperial diadema il nostro padre,
contro la sua virtù, la morte ottiene…
Ah! Se potesse il mio estenuato braccio
tendere l’arco o maneggiare l’ascia!”
Ammutolì la bocca dell’anziano
e affacciandosi lacrime al suo ciglio
con l’affilata punta di una freccia
inoculò la morte nel suo corpo!
II
Si consumò dell’Inca il sacrificio…
E assordando la valle e la montagna
si sentì un grido di dolor supremo
che di pietà fece tremare i cuori!
Nella sua ingenuità pensò la folla
che era l’inca immortal che la chiamava,
e l’iberica turba, nell’udirlo,
con timore volgendogli le spalle
ascoltò in questa voce sconosciuta
l’anatema della Giustizia Santa.