IL MONACO FOLLE ED IL MONACO GENTILUOMO IV parte
(Valentina Mirabella)
Lowe si sofferma su dettagli trascurati dai resoconti di viaggi meramente scientifici, archeologici o antropologici, legati ad una tradizione di scrittura di viaggio tipicamente maschile. A notizie ed informazioni pratiche la viaggiatrice unisce ampie digressioni su sentimenti, sensazioni ed aspetti domestici. Durante la sua visita al monastero, rimane colpita dalla leggenda per cui «la regina Eleonora di Toledo, moglie di Ruggero, uno dei primi re normanni[1], fu così impressionata dalla pietà dei monaci che vi risiedevano che, essendo molto depressa per la morte del marito, decise di restare a vivere per sempre presso di loro. Poiché allora la regola che non ammetteva le donne veniva rispettata, ella ordinò che fosse costruito un capanno accanto alla cappella, esistente ancora oggi, dove passò dodici anni, portando l’acqua della cisterna tra una preghiera e l’altra. Si legge spesso [… ] di re e regine […] che si ritirano in una cella, e fu molto interessante vederne una che aveva effettivamente ospitato una sovrana romantica».Lowe opera una evidente confusione: si tratta in realtà della regina Eleonora d’Angiò, moglie di Federico III d’Aragona, rifugiatasi nel cenobio nicolosita dal 1336, anno della morte del marito, e qui rimasta fino alla morte, avvenuta nel 1341 (Eleonora d’Angiò rimase quindi soltanto sei anni a Nicolosi, e non dodici come scrive l’autrice)
Lowe si ferma al monastero per uno spuntino a base di frutta e vino e viene poi invitata a fare un giro esplorativo a cavallo in compagnia del monaco gentiluomo Con tutta probabilità, si tratta dello stesso monaco anglofono di cui sopra, che veniva la domenica a dire messa, probabilmente fin da Catania. Il divertente aneddoto raccontato da Lowe a questo proposito avvalora, a distanza di un cinquantennio, la leggenda sulla “focosità” dei monaci dell’Etna a cui potrebbe esser debitore il mad monk del Coleridge: «Ci sedemmo sulla cima della caverna dove Cerere accese due fiaccole e andò nell’Ade in cerca di sua figlia. Poiché avevo sentito parlare tanto della galanteria dei monaci, ebbi la curiosità di provare con molta cautela se essi davvero erano capaci di fare un poco di corte ad una signora, e poiché ho fatto chiarezza su questo punto, in futuro le giovani signore non dovranno prendersi il fastidio di tentare l’esperimento»[2]. Numerose le testimonianze di caverne laviche sull’Etna, sarebbe del tutto casuale se la caverna di cui scrive Coleridge fosse la stessa in cui il monaco gentiluomo conduce Lowe; tuttavia, potrebbe Lowe aver letto The mad monk ed esserne stata suggestionata?
Lowe inoltre fornisce spunto per un nuovo ed originale filone di ricerca, riferendoci dell’esistenza di un libro con le firme degli stranieri conservato presso la locanda gestita dal dottor Gemmellaro, l’Etneo. L’idea che anche Coleridge possa aver trovato un album che raccoglie le firme dei visitatori che giungono sino a Nicolosi, è supportata da un passaggio di The Friends, 1809: «Prima della mia ascesa all’Etna, così come per Brocken nella Germania Settentrionale, ricordo di essermi divertito ad esaminare l’album, o manoscritto, offerto ai viaggiatori alla prima tappa della loro ascesa alla montagna, al quale i messaggeri a volte affidavano, sulla via del ritorno, il racconto della loro avventura».
[2] E. Lowe, Due viaggiatrici “indifese” in Sicilia e sull’Etna, diario di due lady vittoriane, cit., pp. 81-82.