Verità e menzogna protagoniste sulla scena tra denuncia e rassegnazione.

Recensione di “Le bugie con le gambe lunghe” di Eduardo De Filippo

( Daniela Scimeca)

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L’ennesima commedia eduardiana che descrive una Napoli corale e post bellica fu concepita e scritta nel 1946 e si inserisce con coerenza nella parabola del teatro popolare italiano che sviscera problematiche e tematiche sociali di grande interesse storico  e attualità.
Tema principale è qui il rapporto tra verità e menzogna, tra speranza e delusione all’interno di una società che a fatica cerca di rifiorire e riprendersi dopo la tragica esperienza della guerra. Qui l’autore vuole mettere a nudo l’illusione che le miserie e le ipocrisie siano finite dopo un periodo buio; esse sono ancora presenti e forse si manifestano ancora più potenti fino all’eccesso per tenere in piedi una società che sembra stanca di cercare un miglioramento ma che si regge su compromessi falsi ammessi e anzi difesi da tutti.

La storia ruota intorno al giovane Libero Incoronato, uomo semplice alla maniera eduardiana che vive con la sorella Costanza. Attorno ai due ruotano una serie di personaggi di media borghesia che mostrano tratti caricaturali, primi tra tutti il signor Peretti promesso sposo di Costanza e Graziella amata da Libero ma con un passato di prostituta e col pesante fardello del giudizio negativo dell’intera collettività. Libero fin troppo ingenuo e buono nel suo fare e pensare viene coinvolto in una serie di equivoci e bugie che tenta di smascherare ma che, suo malgrado, deve sopportare. Man mano che i personaggi intrecciano con lui i loro rapporti e dialoghi e lo coinvolgono nelle loro complicate storie, Libero prende coscienza che la nuova società più evoluta e sincera che si sperava rinascesse dopo la guerra è solo l’ennesima illusione; in realtà le persone che lo circondano e che con lui hanno rapporti sono tutti costruiti e il mondo che lo circonda non è fatto che da ipocrisie e falsità. Le bugie non sono solo marachelle da bambini piccoli o sotterfugi per vivere secondo l’antica arte di arrangiarsi ma diventano cardini della società stessa, pilastri che la reggono in piedi, le bugie  insomma diventano forzate verità di comodo dalle gambe lunghe, lunghissime che hanno l’assurdo potere di nascondere le verità più ovvie ma scomode e fastidiose. Alla fine deluso e angustiato dalla triste scoperta, anche Libero capisce che adeguarsi è la cosa migliore e presenta la sua innamorata ed ex prostituta come una ricca ereditiera; alla fine anche lui dunque perde la sua battaglia con la sua coscienza personale e con la volontà di un cambiamento morale pur di aver accanto a se la donna amata, infatti non gli rimane nulla se non l’amara scelta di condividere con gli altri la menzogna salvatrice e quasi benefica che mette a tacere tutte le voci e i pettegolezzi e gli permetterà di avere una vita serena.
La lezione scenica di Edoardo e il suo modo personale di far teatro è qui ben interpretata dai personaggi che mostrano tratti caricaturali ed esagerati, essi non sono altro che maschere e hanno il preciso compito di guidare lo spettatore in un percorso che dal riso li porta fino alla più complessa riflessione. I personaggi dunque sono solo pedine; bugie e menzogne in conflitto con le verità nascoste dunque diventano le vere protagoniste sulla scena e proprio qui Edoardo riprende in modo del tutto personale quella l’interpretazione  del relativismo e del complesso e conflittuale rapporto tra verità e apparenza di Pirandello ma la fa propria rimodulandola e adattandola al contesto popolare napoletano. Qui la nuda verità scorre come un fiume sotterraneo per tutta la commedia dentro la coscienza del protagonista, scorre anche attraverso situazioni divertenti ed equivoci che alleggeriscono la scena con risa e divertimento e le danno la levità tipica del teatro popolare napoletano così inconfondibile e potente in un crescendo drammaturgico fino a esplodere alla fine e manifestarsi al pubblico in modo inevitabile, a quel punto ci si trova disarmati di fronte il contesto, il riso viene messo da parte per far posto ad più corposo e consapevole ragionamento. L’ingenuità del protagonista in un primo momento fa tenerezza, suscita il riso, poi pian piano sulla scena, quella stessa ingenuità si trasforma in  matura consapevolezza che guida lo spettatore verso la riflessione e quel tanto discusso sentimento del contrario pirandelliano che si mostra ormai maturo e consapevole nella coscienza del moderno spettatore. Ma proprio quando la verità appare semplice, nuda e manifesta e si pone al centro della scena viene subito platealmente rinascosta da una nuova bugia che come un sipario copre la scena e la società  descritta in un gioco in perpetuo divenire e autoalimentarsi per sopravvivere. Ecco che la bugia diventa motivo stesso di vita in un perpetuarsi di situazioni e contesti, il suo eterno conflitto con la verità rappresenta un tema scomodo, a tinte forti ma di grande impatto psicologico e pieno di attualità in un complesso gioco ad incastro tra bene e male, tra giusto e sbagliato, tra morale e immorale. In questa giostra di ideali e sentimenti opposti lo spettatore è chiamato in causa per prendere una posizione ed è obbligato a porsi delle domande e chiedersi quale sia la scelta giusta tra quelle proposte, eccolo dunque coinvolto in una storia e in una problematica antica e moderna insieme, eccolo dunque spaesato di fronte alla decisione da prendere e alla posizione da assumere mentre la scena si chiude lasciandogli l’incombenza della scelta.

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