Il Monastero di S.Nicolò L’Arena di Nicolosi tra realtà e finzione letteraria IV Parte

(Valentina Mirabella e Enza Turrisi)

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Dumas, nella finzione letteraria, afferma invece che “San Nicola lo Vecchio fu abbandonato l’estate come l’inverno.”(da Le bènèdictins de Saint-Nicolas-le-Vieux). Dalle pagine di De Roberto apprendiamo che l’antico cenobio era sfruttato per l’approvvigionamento di vivande e di legname: “ Ogni giorno i cuochi ricevevano da Nicolosi quattro carichi di carbone di quercia, per tenere i fornelli sempre accesi.”(da I Vicerè).

In loschi personaggi s’imbattè ,dunque, il tedesco conte Weder che Dumas, con tutto il suo sciovinismo francese, deride e canzona dicendo di lui: “era saggio alla maniera dei tedeschi, ovverosia aveva letto una gran quantità di libercoli perfettamente dimenticati.”

Al suo arrivo al convento, trovò davanti a sé “una vecchia fabbrica del XII secolo, dove era facile leggervi le devastazioni di ognuna delle irruzioni che avevano avuto luogo dal tempo della sua fondazione. La data di tutti gli incendi e di tutti i terremoti era scolpita lì sulla pietra. Da certe frastagliature che si stagliavano nette nel cielo blu scuro, tutto brillante di stelle, era facile riconoscere che una parte degli edifici era in rovina. Ciononostante le mura che circondavano l’edificio sembravano assai bene conservate e vi erano state praticate delle feritoie che davano a San Nicola il Vecchio l’apparenza di una fortezza piuttosto che di un monastero.”

Il conte non riuscì a rendersi conto dell’errore in cui si era malcautamente imbattuto, neanche dopo l’accoglienza, poco consona ai modi cenobitici, riservatagli dal losco figuro di guardia all’ingresso: “ Una piccola finestra, aperta a dieci piedi di altezza, si aprì. Ne uscì un lungo tubo di ferro che si diresse al petto del conte; una testa barbuta si mostrò all’apertura e una voce, che non aveva nulla della dolcezza monastica, domandò:

-Chi va là?

– Amiko, rispose il conte, scostando con la mano la canna del fucile; amiko […]

-Amico,hum! Amico, disse l’uomo alla finestra: E chi ci prova che siete un amico? E ricondusse la canna del fucile nella direzione di prima.

-Mio Karissimo fratellen, rispose il conte, scostando di nuovo e con lo stesso sangue freddo l’arma che lo minacciava […] io afere eine lettera di kardinal Morosini per fostro zuperioren cenerale.

-Per il nostro capitano? Riprese l’uomo del fucile.

-Eh! no, no, per zuperioren cenerale […]

-Aspettate, sto per aprirvi

In breve, il conte si trovò coinvolto nel bel mzzo di un degenerato festino in cui, per nulla colto dai sospetti riguardo alla vera identità dei “pii monaci”, trangugiando prelibate vivande e tracannando ottimo vino, “sostenne mirabilmente la reputazione di cui godono i suoi compatrioti”. Caduto in incoscienza, si risvegliò ai confini del bosco; a poco a poco gli tornarono in mente i fatti della sera precedente ed ebbe, alfine, chiaro in quali pericoli era incorso. Soprattutto gli tornò in mente la sua borsa piena d’oro che si affrettò ad aprire con grande apprensione, temendo fosse stata alleggerita del suo prezioso peso.

Ma con grande stupore, la sua borsa era ancora piena d’oro e c’era anche un biglietto su cui il conte lesse quanto segue : “ signor mio, le facciamo mille scuse di esserci separati da lei in questo modo così brusco; ma una spedizione di grande importanza ci attende a Cefalù. Spero che voi non dimentichiate l’ospitalità che vi hanno riservata i benedettini di San Nicolò lo Vecchio […]. Troverete tutto il vostro bagaglio eccezion fatta per le Kukenreiter [ le pistole del conte] che vi chiedo il permesso di conservare in vostro ricordo. Don Gaetano, Priore di San Nicolò lo Vecchio, 16 ottobre 1806”.

Che il convento nicolosita si fosse trasformato in un covo di malviventi, lo dicono anche altre testimonianze: lo studioso catanese Francesco Di Paola Bertucci, nella Guida del Monastero dei PP. Benedettini di Catania scrive : “ Durante il corso di due secoli, quivi [i monaci] passarono tranquilla e pacifica la vita; ma poscia molestati dagli insulti e dalle bravure dei ladri crederono miglior partito far ritorno a Catania”, e il geografo francese Elisèe reclus, nella sua relazione del viaggio compiuto in Sicilia nel 1865 : “ Nicolosi novera mezza dozzina di chiese, senza contare diversi oratori e il vasto convento di San Nicolò di Arena, divenuto villeggiatura dei Benedettini di Catania. Durante l’ultimo mezzo secolo, corse voce che una mano di briganti si fosse annidata nelle sale di quel monastero; in quei tempi i pochi esploratori dell’Etna non potevano scendere salvi dalla montagna senza venire a patti coi masnadieri”.

Se, dunque, sembra indubbio che, in qualche tempo, il monastero di San Nicolò l’Arena diede rifugio a fuorilegge, ci sia almeno concesso di dubitare della loro onesta cortesia nel lasciare intonsa la borsa piena d’oro del conte Weder.

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