Il Genio di Palermo: ipotesi tra storia e leggenda
(Lavinia Scolari)
Il Genio di Palermo è una delle più antiche e complesse figure mitiche della nostra tradizione cittadina, un genius loci della città, assai probabilmente d’epoca pre-romana, di cui si conservano diverse attestazioni documentarie, sia in opere letterarie antiche di grande rilievo (basti citare Ovidio e Pausania), sia in opere monumentali e scultoree che ancora oggi possono essere ammirate a Palermo.
Ma chi è il genius loci, e in particolare chi o che cosa rappresenta il Genio di Palermo? Se è allo stato attuale difficile dare una risposta definitiva, tuttavia è possibile fornire qualche suggestione.
Iniziamo per gradi: il genius loci era per i Romani una divinità minore delle credenze religiose, ma probabilmente assai più antica di altre, il cui nome indicava un’attitudine alla vita come principio di generazione, un nume che presiedeva ai momenti peculiari della vita di un individuo, come la nascita, e che vi partecipava con la sua protezione, finendo per accogliere nel suo alveo tutelare tutto ciò che riguardava la familia, comprese le attività e i luoghi. A differenza del Lare, però, che difendeva l’abitazione di cui l’individuo aveva il possesso, il genius loci proteggeva il luogo, naturale o meno, in cui l’uomo e la sua famiglia dimorano o si trovano a vivere.
Anche Palermo aveva un Genio del luogo, il cui nome finiva per essere identificato con quello della città di cui era fondatore e quasi “inventore”: si tratta di un vecchio assiso in trono, con la barba divisa in due ciocche, incoronato con uno stemma che alcuni definiscono ducale, spesso raffigurato con un serpente nell’atto di morderlo o di succhiargli il petto (la mammella, sostengono alcuni studiosi) e sormontato da un’aquila (l’aquila senatoriale, che oggi è anche il simbolo della città di Palermo). Alle volte ai suoi piedi è rappresentato anche un cane, emblema di fedeltà.
A Palermo esistono otto sculture o raffigurazioni del genio, protettore della città e dei suoi abitanti: le più antiche sono quelle all’ingresso del Porto e a Palazzo Pretorio, di cui si ignora la datazione. Le altre invece, realizzate tra il XV e il XIX sec. (un periodo piuttosto ampio in cui la fisionomia del Genio si evolve assumendo uno specifico contorno) sono le seguenti: il Genio del Garraffo, alla Vucciria, il Genio di Piazza Rivoluzione, quello di Villa Giulia, il Genio dell’Apoteosi di Palermo a Palazzo Isnello, dipinto da Vito D’Anna nel 1760, il Genio di Villagrazia o di Villa Fernandez e infine, il più recente (fine del XIX sec.), il Genio del mosaico, realizzato da Pietro Casamassima come pannello musivo della Cappella Palatina, al Palazzo dei Normanni.
Fra tutti, il Genio di Palazzo Pretorio reca con sé un’iscrizione assai celebre: Panormus conca aurea suos devorat alienos nutrit, “Palermo dalla conca d’oro divora i suoi e nutre gli altri”. La traduzione è approssimativa, perché ad oggi si dibatte ancora sul significato di questa frase. I suoi sono i suoi figli? I suoi abitanti? E gli altri, sono forse gli stranieri? Sembra plausibile e ci piace seguire l’interpretazione di Pitrè: “questa benedetta città, fa gran festa, dà lentamente da vivere agli stranieri, e poi trascura i propri figli” (cit. in Palermo, di Gianfranco MARRONE, in Aa. Vv., Miti di Città, 2010, cui si deve l’ispirazione per il presente articolo).
Ma chi è Palermo? L’erudito Vincenzo Di Giovanni, nel Seicento, riportò la credenza secondo la quale il genio fosse in realtà la divinizzazione del condottiero punico Palermo, fondatore della città, e la statua sarebbe opera dei Romani, in special modo di Scipione l’Africano, che fece dono alla città, valida alleata nella guerra contro Annibale, di un genius loci e della sua rappresentazione scultorea. In questa raffigurazione, se il Genio è per l’appunto la città di Palermo nella veste del suo fondatore, il serpente, che è un dilemma storico-interpretativo, sarebbe lo stesso Scipione, qui a rappresentare i Romani tutti, che dalla città vennero aiutati anche a costo di dure perdite nel conflitto contro Cartagine. Si tratta solo di una leggenda che non ebbe gran credito, ciononostante sembra interessante riportare qui l’ipotesi di Marrone, che osserva come il culto del Genio fosse talmente vivo da prender parte al festino della città accanto alla statua di Santa Rosalia, al punto che il grido consueto “Viva Palermo e Santa Rosalia” sembra allo studioso far riferimento non tanto alla città quanto al Genio stesso, chiamato Palermo, e alla venerata Santa, che, secondo il Marrone, presero il posto dei fenici Tanit e Baal Hammon, di cui il Genio, tramite l’intermediazione mitico-figurativa di Saturno, sarebbe la riformulazione. Qualunque ne sia l’origine, il Genio di Palermo è ancora vivo nella sua città, la osserva da molteplici angolature, svettando sulle edicole delle strade, sulle fontane e dai mosaici, e personifica questa città dalla storia composita e ancora profondamente misteriosa e affascinante.
Sono un antico Siciliano di nascita, savonese di adozione, regolarmente visito la sicilia. ho parenti sia a palermo che a savona, ma nessuno mi aveva mai accennato a questo bellissimo mito. complimenti per la spiegazione, se mi è consentito aggiungerei qualcosa di questo mito che si ricolleghi alla figura di saturno.
cordialmente giuseppe