Il Monastero di S.Nicolò L’Arena di Nicolosi tra realtà e finzione letteraria III Parte

di Valentina Mirabella e Enza Turrisi

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Se è vero che il massone Brydone non riuscì a compiere l’ascesa all’Etna, potrebbe forse consolarlo l’aver avuto ricovero nel Monastero di S. Nicolò l’Arena laddove il suo più acerrimo detrattore, Joseph Antoine De Goubillon, non ebbe ugual fortuna non avendo ottenuto la lettera di garanzia necessaria per alloggiarvi? Eppure, se si dovesse dar credito al racconto di Alexandre Dumas padre [nel romanzo Le speronare], l’ospitalità riservata al conte Weder da “certi frati Benedettini” di S.Nicolò lo Vecchio, fu tutt’altro che confortevole. Dumas, che fu ospite del convento di Nicolosi in occasione del suo viaggio sull’Etna, nell’agosto 1835, narra la disavventura capitata al conte Weder, il quale partì da Vienna per visitare la Sicilia avendo appreso dell’esistenza del convento di San Nicolò lo Vecchio da un catalogo elencante tutti i conventi benedettini sparsi sulla superficie della terra. Il conte era attirato al Monastero da una duplice ragione: costatare quanto ferrea fosse la regola dei benedettini di San Nicolò, che ingiungeva loro di abitare in una regione tanto inospitale e la fama di cui godevano i padri di possedere, fra i loro fratelli chierici, la migliore cucina di tutta la Sicilia, essendo egli stesso un insigne gastronomo. Numerose testimonianze attestano quanto rinomata fosse l’arte culinaria dei benedettini di San Nicolò l’Arena: vera e attendibile era,dunque, la notizia che il conte Weder aveva letto sul catalogo in suo possesso, ma più precisamente essa si riferiva alla cucina dei benedettini della Cipriana, (da I Viceré di De Roberto) “ La cucina dei Benedettini era passata in proverbio; il timballo di maccheroni con la crosta di pasta frolla, le arancine di riso grosse ciascuna come un mellone, le olive imbottite, i crispelli melati erano piatti che nessun altro cuoco sapeva lavorare; e pei gelati, per lo spumone, per la cassata gelata i Padri avevano chiamato apposta da Napoli don Tito, il giovane del caffè di Benvenuto… Distinguevasi i pranzi e i pranzetti, questi composti di cinque portate, quelli di sette, nelle solennità”.

Quel che il conte non sapeva era che il monastero aveva cambiato proprietà da quando i frati si erano fatti costruire la magnifica succursale di Catania, lasciando il convento alla mercè di una banda di briganti, “gente molto meno esigente nei loro bisogni che i monaci”. Che i frati non vi avessero più dimora e che lì abitassero solamente nei mesi estivi sappiamo, oltre che da documenti ufficiali, anche da testimonianze dirette dei viaggiatori: tra gli altri F. Munter riferisce che “vi mandano alcuni frati laici per mantenere tutto in buono stato. Alcuni si portano solamente in quel luogo, quando il calore dell’estate li obbliga a lasciare le coste del mare ed allorché la vendemmia per alcune settimane rende quella dimora piacevole”(da Viaggio in Sicilia). Anche Houel testimonia che: “ San Nicolò Vecchio […], che appartiene ai Benedettini, del convento di Catania, è usato solo come ospizio:essi ci vengono per rimettersi in salute dopo qualche malattia. Un solo frate vi dimora in permanenza per prendersi cura della casa e occuparsi della coltivazione dei campi vicini”(Viaggio in Sicilia e Malta).

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