Il Monastero di S.Nicolò L’Arena di Nicolosi tra realtà e finzione letteraria II Parte
di Valentina Mirabella e Enza Turrisi
Anche il duca di Buckingham e Chandos Richard Grenville, che in Sicilia giunse sul suo yacht “Anna Eliza” nell’ottobre del 1827, raccolse e riportò puntualmente quella che, ormai, era un’ex diceria conclamata come certezza da tutti i visitatori dell’Etna. Così scrive: “ Oggi la memoria di Brydone è irrisa, [eppure] per molto tempo le sue storie ci hanno fatto onore […]. E’ noto e risaputo che Brydone nella sua ascesa all’Etna non si spinse oltre il Convento dei Benedettini [di Nicolosi]”.
Ma sul caso, con maggior dovizia di particolari, ci informa anche Joseph Antoine De Tourbillon nel suo Voyage critique à l’Etna en 1819. Il viaggiatore francese, che nel suo diario non lesina attacchi a Brydone, riferisce le testimonianze raccolte presso gli abitanti di Nicolosi per i quali la pretesa esplorazione al cratere compiuta dal viaggiatore scozzese sarebbe stata una sua invenzione, visto che:” l’incidente […] che, secondo quanto afferma, gli sarebbe occorso sulla cima dell’Etna, gli successe a Nicolosi stesso; da dove, trasportato su di una barella al convento dei Benedettini, sarebbe stato costretto ad attendervi il ritorno dei suoi compagni di viaggio”.
Nella lettera del 29 maggio Brydone scrive all’amico William Beckford di essersi procurato una storta,correndo sul ghiaccio mentre si trovava nella cosiddetta Torre del filosofo : “lassù a quell’altezza era impossibile procurarsi un cavallo o un veicolo di qualsiasi genere e il tuo povero filosofo fu obbligato a saltellare su una sola gamba, sorretto da due uomini, per molte miglia sulla neve […] fui felice quando risalii sul mulo; ma quando poi mi ritrovai di nuovo sul nostro letto di foglie nella Spelonca del capriolo mi sembrò di essere addirittura in paradiso”; né nel succitato passo né altrove nel suo diario di viaggio, lo scozzese racconta di aver pernottato o aver fatto visita al Monastero: che sia colpevole la reticenza di Brydone, che non fa menzione alcuna del convento di San Nicolò, quasi volesse dare attendibilità alla sua ascensione del vulcano, persino negando un rapido passaggio nel cenacolo benedettino?
De Gourbillon afferma, inoltre: “Quanti sono esigenti riguardo all’alloggio, sono dunque costretti a prendere a Catania qualche lettera di raccomandazione per essere ospitati in una casa appartenente ai Benedettini di questa città, casa che si osserva sulla destra, all’incirca a un miglio al di là di Nicolosi. Questa prassi è quella che, in un primo momento, abbiamo voluto seguire; il nostro amico, il cavaliere Gioeni, ha sollecitato per noi questa lettera preziosa ma la stessa causa che a Catania ci aveva chiuso la porta dell’amministrazione, ci ha sbarrato la porta del convento dei Benedettini sull’Etna; […] eravamo al tempo della villeggiatura, cioè nel periodo in cui ciascuno lascia la città.”
Di quest’uso delle lettere commendatizie parla anche un altro celebre visitatore della nostra terra, Jean Houel: “ Bisogna essere caldamente raccomandati dai Benedettini di Catania per essere ricevuti in questa casa, e vi si può usufruire del solo coperto. Una volta non vigeva questa austerità, ma gli abusi commessi dai viaggiatori troppo invadenti hanno reso i monaci diffidenti verso i loro ospiti.”