Un’esperienza di vita
(Carmelo Fucarino)
Con la riedizione della rappresentazione di “Prattichizza”, libera elaborazione delle Ecclesiázousai di Aristofane, fatta, provata e diretta da Claudio Russo il giorno 1 aprile (un bello scherzo per chi non ha creduto nell’esperimento), è andata in porto una scommessa giocata dalla sezione Lions Club Palermo dei Vespri, diciamo dalla sua parte più attiva e impegnata. Pur con qualche rinunzia forzata rispetto alla prima edizione il pubblico numeroso ha apprezzato e accolto con sentiti applausi, – soprattutto risate liberatorie, quando si ironizzava sul mal governo (di allora!) – gli attori in erba, si fa per dire, data l’età di gioventù un po’ inoltrata, che si sono esibiti con verve e naturalezza nella parlata siciliana, creata e rivisitata nella traduzione da un improbabile greco antico. La preparazione è stata lunga e meticolosa ed è stata preceduta da un dibattito, tenuto da Massimiliano Pecora e Carmelo Fucarino, sul significato dell’operazione culturale nel suggestivo ambiente della biblioteca delle Balate. Ne è uscito valorizzato lo spettacolo, visto nella spiegazione delle sue finalità e nella sua successiva concreta realizzazione. Lode perciò all’organizzazione che, a cominciare dall’analisi e dalle ragioni del lavoro svolto, ha portato gli spettatori a contatto con un teatro che nelle rappresentazioni di Siracusa, ma anche a Palazzolo Acreide o a Segesta trova scarsa attenzione. Pur nella limitatezza della documentazione che, ad eccezione del Discolos di Menandro, si esprime solo con la particolare interpretazione socio-politica di Aristofane, è un teatro che bisognerebbe visitare più spesso e far conoscere al grande pubblico.
Gli spettatori hanno palesemente gradito il tema portante della commedia, quella critica aspra contro un sistema politico che la vecchia oligarchia al tramonto avversava, cogliendo gli ammiccamenti e le rifrazioni evidenti nell’attuale disfacimento democratico. Naturalmente si è perduto per strada l’originale intento aristofanesco che era invece una banalizzazione e un acre sarcasmo contro un deformato comunismo di beni e di… sesso, la nobile utopia sviluppata in altri termini meno panciafichisti (soluzione che ben ricordano i vecchi durante un celebre ventennio) da Platone nella sua Politeia. Ma d’altronde non fecero fine diversa l’altra Utopia, l’isola perfetta e felice, ideata nel 1516 da Thomas More, o la New Atlantis di sir Francis Bacon nel 1627. Nell’altra grandiosa utopia del 1602, il domenicano di Stilo Tommaso Campanella teorizzò una Città del Sole, retta dal re-sacerdote del dio Sole, in cui vigesse la comunione dei beni e delle donne. Subì per queste ed altre teorie ben cinque processi e morì esule nel convento di Saint-Honoré, perché salvato da Richelieu.
Per gli interpreti, giovani e meno giovani, al di là degli applausi meritati, resterà nel cuore l’esperienza di vita e quella comunione di spirito che li ha accomunati per tante serate di prova e che li ha portato a proiettarsi in un mondo diverso, in uno sdoppiamento tra l’essere e l’attuarsi, tra il normale mestiere quotidiano e l’esistenza “altra”, che si trasmette e rivive nei secoli attraverso la parola e l’azione.