Le donne ed il vino

(Natale Caronia)

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E’da tempo immemorabile l’improponibilità dell’accoppiata donne-vino. I tempi sono cambiati e bisogna cambiare vecchi punti di vista.

Nel recente workshop sulla “Ricerca microbiologica per i vini del futuro” del 4 e 5 febbraio, svoltosi a Castello Utveggio e organizzato dall’Istituto Regionale della Vite e del Vino, Presidente Dr. Leonardo Agueci, a parte la figura di Chairmen del Prof. Maurizio Moschetti della nostra Università, ottime, preparate, competenti Relatrici sono state la Prof.ssa Patrizia Romano dell’Università della Basilicata, la Prof.ssa Amparo Querol dell’Università di Valencia e la Prof.ssa Sylvie Dequin dell’Università di Montpellier, nonché la Prof.ssa Marilena Budroni dell’Università di Sassari. Presenti anche Relatori uomini delle Facoltà di Bologna, Firenze, Udine, ma le signore Relatrici mi sono apparse le punte di diamante della schiera.

Seguire le relazioni ha operato in me una folgorazione ed un aggiornamento immediato; premesso che è noto a tutti come la fermentazione alcolica a partire dagli zuccheri dell’uva è determinata da saccaromiceti, non tutti sanno che una nutrita schiera di altri lieviti, saccaromiceti e non, partecipano alla reazione chimica, producendo svariate sostanze che danno quelle caratteristiche organolettiche che fanno del vino una bevanda piacevole. Chi ha visitato le cantine dei produttori ha potuto vedere i vari tipi di trattamento del mosto, la sua conservazione in recipienti di acciaio o in botti di rovere, della possibilità di controllare le fermentazione tramite il freddo, etc.

Da poco meno di vent’anni, con la possibilità di caratterizzare rapidamente i lieviti della fermentazione, isolarli e riprodurli in laboratorio, si è data la possibilità all’industria di produrre lieviti che possono essere inoculati nei mosti dai produttori dei vini, vini che possono essere così “guidati” nel processo di fermentazione, al fine di raggiungere qualità organolettiche ottimali.

Ma la ricerca è andata oltre: è stata applicata la genomica ai lieviti per individuare quali sono i segmenti della sequenza del loro DNA che generano le caratteristiche più interessanti dal punto di vista vinicolo, sì da isolarli ed utilizzarli con metodiche di ingegneria genetica. Dal mondo squisitamente agricolo, mi sono sentito proiettato nella fantaenologia. E, non nascondo, con una punta di raccapriccio. Mi sono consolato quando, a parte, uno dei Relatori mi ha confessato di preferire i piccoli produttori che vinificano con vecchi metodi tradizionali.

Certamente la ricerca non si deve fermare, come non si può fermare il progresso; ma dove ci vogliono condurre le donne con il loro vino?

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