Una pagina istruttiva
(Carmelo Fucarino)
A proposito del valore dell’unificazione le parole di un semplice prete del tutto ignorato dalla mistica celebrativa: “Ma le squadre?”. “E chi vi dice che non aspettino qualcosa di più?”. L’unità geografica, attuata attraverso mille bugie e mistificazioni, è oggi messa in discussione e peggio sbeffeggiata, tuttavia si tace della perdurante strategia della colonizzazione economica e finanziaria. Svenduto il glorioso Banco di Sicilia e rapinati a Nord i risparmi siciliani dalla leghista Unicredito e da infinite capillari siglette di Lodi, Verona, Piacenza, senza interessi e con la tassa occulta di spese di gestione, con tassi di prestito usurai più elevati del Nord, si vorrebbe scroccare pure l’IVA sul consumo e incamerarla al Nord con la scusa che là hanno sede le industrie produttrici. E i consumatori sono semplici colonizzati e non acquirenti? A questo punto ci sorge il dubbio se sia di gran lunga preferibile un aggiornamento del progetto separatista di Finocchiaro Aprile. Le gravose tasse resterebbero nostre e per di più godremmo degli introiti della dogana sui vari parmalat formaggini parmigiani salamini, automobiline fu italiane lavatutto e teletutto, ecc. ecc. Un giorno esisteva il burroso latte Barbera, la fabbrica fu assorbita e chiusa, contrastata l’industria ferroviaria da decenni in crisi per l’elemosina della FIAT, impianto da noi pagato e chiuso. La Sicilia sarebbe costretta a produrre senza divieti ed ostruzionismi. O no? Sarebbero nostri i giacimenti e le inquinanti raffinerie e industrie chimiche? E i devastanti mulini a vento senza progetti avanzati di centrali nucleari?
«Eppure qualcosa di grave dovette avvenire anche a Prizzi, ma nel giugno 1860. A riferirlo fu ancora Abba nel suo diario [Da Quarto al Volturno, Noterelle di uno dei Mille], senza però chiarire la natura dei fatti. Scrisse da Villafrati sotto la data 26 giugno, nei primi mesi ancora di espansione delle truppe di Garibaldi verso l’interno, di aver visto partire “in gran fretta” il battaglione Bassini. Commentò la celere partenza con il fatto che “a Prizzi, che deve essere un villaggio poco lontano, vi è gente che si è messa a far sangue e roba, come se non vi fosse più nessuno a comandare”. Proprio nel tentativo di trovare una spiegazione a questo tragico fenomeno egli scrisse che “il padre Carmelo sapeva quel che diceva quando ci parlammo al Parco. Quaggiù vi sono beni grandi, ma goduti da pochi e male. Pane, pane! Non ho mai sentito mendicarlo con un linguaggio come questo della poveraglia di qui”. Gli era balenato nella mente il colloquio avuto il 22 maggio al Parco con padre Carmelo, un monaco di ventisette anni, che “ne mostra quaranta”. All’invito di unirsi ai Garibaldini il frate gli aveva opposto un “non posso”. La ragione non poteva essere il fatto che fosse frate monaco. Altri monaci avevano combattuto in quella compagnia, “senza paura del sangue”. Il dialogo è estremamente istruttivo per non doverlo riportare nella sua interezza. “Verrei, se sapessi che farete qualche cosa di grande davvero; ma ho parlato con molti dei vostri, e non mi hanno saputo dir altro che volete unire l’Italia”. Ribatté Abba: “Certo, per farne un grande e solo popolo”. “Un solo territorio …! In quanto al popolo, solo o diviso, se soffre, soffre; ed io non so che vogliate farlo felice”. “Felice! Il popolo avrà libertà e scuole”. “E nient’altro! Perché la libertà non è pane, e la scuola nemmeno. Queste cose basteranno forse per voi Piemontesi; per noi qui no”. “Dunque che ci vorrebbe per voi?” “Una guerra non contro i Borboni, ma degli oppressi contro gli oppressori grandi e piccoli, che non sono soltanto a Corte, ma in ogni città, in ogni villa”. “Allora anche contro di voi frati, che avete conventi e terre dovunque sono case e campagne!” “Anche contro di noi; anzi prima che contro d’ogni altro! Ma col vangelo in mano e colla croce. Allora verrei. Così è troppo poco. Se io fossi Garibaldi, non mi troverei a quest’ora, quasi ancora con voi soli”. “Ma le squadre?”. “E chi vi dice che non aspettino qualcosa di più?”. Tornando all’improvvisa partenza, commentò: “Bassini si è messo in marcia, ma non dell’umore suo di quando odora il pericolo […]”. Quanto celere ed immediato fosse stato l’intervento di Bassini è dimostrato dal fatto che il 28 giugno aveva già raggiunto la colonna a Rocca Palomba. Considerati i tempi del trasferimento, furono fulminei l’entrata a Prizzi e la soluzione dei gravi fatti, che sembrerebbero originati da uno spiacevole equivoco: “Bassini ci ha raggiunti, mortificato lui, gli ufficiali e i soldati. Furono accolti a Prizzi come principi. Luminare, cene, balli e le belle donne che gridano ancora da lungi, ‘benedetti! beddi!’”. Ci stupiscono però il misterioso mutamento di atmosfera, la ragione della mortificazione dei garibaldini e in funzione di quale errore di valutazione. Quali furono le ragioni di questa nuova prospettiva dei fatti prizzesi? Eppure di un episodio di violenza e di grave violazione della legge e della giustizia si dovette trattare, data la fretta dell’intervento».
(Da CARMELO FUCARINO, Stratigrafia del comune di Prizzi come metafora della storia dell’Isola, vol. II, L’Ottocento, ed. Comune di Prizzi, Prizzi, marzo 2006)