ROSALIA E ROSA, DUE FIORI DEL PARADISO ISPANICO
(Gianfranco Romagnoli)
Le Comedias de Santos hanno una parte importante tra i generi presenti nel teatro spagnolo del Secolo d’oro e, conformemente alla vocazione universale dell’impero ispanico, riguardano non soltanto Santi iberici, ma anche figure di santità fiorite nei vicereami d’Italia e d’oltreoceano.
Un esemplare accostamento può farsi tra Rosalia e Rosa, due fiori nel nome e nel giardino del Paradiso, nate l’una in Sicilia, l’altra nel Perù.
La mejor flor de Sicilia, Santa Rosolea fu scritta intorno agli anni settanta del Seicento (e pubblicata postuma nel 1676) dal drammaturgo di scuola calderoniana Agustin de Salazar, poeta di corte del vicerè di Sicilia Francisco Fernandez de la Cueva, duca di Albuquerque. Anche se la Santa visse in epoca normanna, la sua riscoperta fu opera del governo vicereale spagnolo, che ne esaltò il ruolo determinante nella cessazione dell’epidemia di peste che colpì Palermo nel 1624, appropriandosi della sua figura che fece assurgere a Patrona della città, in attuazione del disegno politico che cercava la pace sociale nell’alleanza trono-altare.
Santa Rosa del Perù fu scritta nel 1669 da Agustin Moreto, noto drammaturgo spagnolo di origini italiane, anch’egli di scuola calderoniana: la protagonista visse negli anni a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento e fu presto proclamata Patrona delle Americhe.
Quello che qui interessa cogliere sono le analogie e le differenze tra queste due Sante, quali ci vengono presentate in queste commedie.
Entrambe sono di nobile origine, ma mentre Rosalia è data come appartenente alla famiglia reale normanna, Rosa è figlia di hidalgos spagnoli caduti in miseria; Rosalia è dedita inizialmente alle vanità mondane, ma presto si converte, mentre Rosa aspira fin da bambina alla vita religiosa.
Per il resto, le loro storie procedono in parallelo, secondo gli schemi fissi delle Comedias de Santos: entrambe vengono fidanzate contro la loro volontà (a Rosalia è attribuito anche un secondo pretendente), ma evitano il matrimonio, Rosalia fuggendo con l’aiuto degli angeli a Quisquina e poi sul Monte Pellegrino dove si dà alla vita eremitica, Rosa rifiutando il matrimonio e ritirandosi in solitudine in una angusta cella costruita nel suo orto, dalla quale esce solo per ricevere l’abito Domenicano e per le funzioni religiose.
Entrambe vengono a più riprese tentate dal Demonio che, con l’aiuto di spiriti infernali, nel caso di Rosalia mette sulle sue tracce il promesso sposo, mentre nel caso di Rosa spinge il fidanzato abbandonato a tentare di violentarla.
Delle due Sante sono descritte le privazioni e le crudeli mortificazioni cui volontariamente si sottopongono per amore di Cristo; insidiate dal Demonio che non desiste dai suoi empi disegni, entrambe sono sorrette nei momenti difficili da apparizioni angeliche, del Bambino Gesù e di Maria Bambina.
La loro morte è anche la loro apoteosi: Rosalia è sollevata in cielo, ove gli angeli la accompagnano ed è accolta dalle quattro Sante protettrici di Palermo Agata, Cristina, Ninfa e Oliva; Rosa è anch’ella elevata verso il cielo appesa in ginocchio a rami a forma di croce di un albero del suo orto, accolta da Gesù, Maria e Santa Caterina, sua patrona; in entrambi i casi, grande è la meraviglia e l’edificazione di quanti assistono al beato transito.
L’abbondanza di personaggi simbolici e ultraterreni è una caratteristica delle Comedias de Santos, sorretta ed esaltata da una raffinata scenotecnica che propone mediante botole, macchinari ed artifizi vari, una serie di effetti di apparizioni, sparizioni, fiamme e quant’altro ritenuto necessario per catturare l’attenzione degli spettatori ed aumentarne il coinvolgimento emozionale ai fini di quella edificazione spirituale, che queste opere teatrali si propongono di ottenere.
Di Santa Rosalia ho pubblicato una mia traduzione (Santa Rosalia e altre storie; Palermo, Anteprima, 2005); Santa Rosa, pure da me tradotta, è ancora inedita.