ILLUSTRI MEDICI ANTICHI E BREVE STORIA DEL VARICOCELE
(Dott. Vincenzo Ajovalasit*)
Non si può parlare di storia della medicina senza accennare a Ippocrate di Coo, considerato“il padre della medicina razionale”, il quale visse in Grecia tra il 460 e il 370 a. C.. La medicina utilizzata nei tempi antichi, era teurgica, cioè la malattia era considerata un castigo divino, questo concetto lo troviamo in moltissime opere greche, anche nell’Iliade; si deve a quest’importante medico, la negazione dell’intervento divino nelle malattie e l’origine della medicina razionale. Al centro della concezione di Ippocrate non c’era la malattia, ma l’uomo; la base della biologia e della patologia ippocratica era la dottrina umorale. Egli ammetteva l’esistenza di quattro umori: sangue, flegma, bile gialla e bile nera. Il sangue viene dal cuore, il flegma dal cervello, la bile gialla dal fegato, la bile nera dalla milza.
Ippocrate di Coo
Quando i quattro umori erano perfettamente equilibrati, si aveva la “crasi”, cioè la salute; altrimenti si aveva la “discrasia”, cioè la malattia. Il malanno, secondo l’antico medico, derivava dal mancato equilibrio degli umori umani e dove c’era equilibrio tra i liquidi del corpo c’era la salute; le cure consistevano nel rimuovere l’umore in eccesso e per ripristinare l’equilibrio perso, quindi era necessario rimuovere la materia in eccedenza, detta “materia peccans”. I mezzi a disposizione per l’eliminazione dell’eccesso erano il capipurgio (= purga del capo), che consisteva nell’indurre lo starnuto con droghe come il pepe, il clistere, oppure il salasso o sanguisugio. Ippocrate fu il vero instauratore della semeiotica, infatti, attuò un metodo diagnostico basato sulla visita del malato, e descrisse come doveva essere eseguito l’esame del paziente “deve essere lungo e accurato, l’interrogatorio minuzioso e l’ispezione deve essere attenta e completa e si devono considerare anche i segni apparentemente più insignificanti”. L’antico Maestro dell’isola di Coo fu il primo che dettò le regole morali nello svolgere la professione di medico, scrisse un codice etico, che stabiliva l’uso dei comportamenti da seguire nello svolgere la professione. Per diversi decenni l’antico Giuramento di Ippocrate è stato letto, con promessa a rispettarlo, da tutti i laureandi in medicina, durante la cerimonia di laurea. In tempi recenti è stato modificato, per adeguarlo alle esigenze della professione moderna, l’ultimo aggiornamento risale al 2007, oggi il neolaureato legge un giuramento di Ippocrate modificato e aggiornato.
Il varicocele è una dilatazione anomala delle vene situate all’interno della borsa scrotale, deputate al trasporto del sangue venoso proveniente dalle gonadi; questa patologia era conosciuta sin dai tempi antichi, in quel periodo i pazienti si recavano dagli specialisti dell’arte medica, solo quando i disturbi avevano notevole intensità e compromettevano le normali attività della vita quotidiana. Le testimonianze trascritte nei vecchi testi, descrivono quindi l’ultimo stadio della malattia, quando erano presenti tutte quelle complicazioni che la rendono temibile.
Le prime descrizioni del varicocele risalgono a venti secoli addietro, precisamente ai tempi di Aulo Cornelio Celso (14 a.C.-37 d.C.), vissuto probabilmente nel settantennio comprendente l’impero di Augusto e di Tiberio. Secondo Plinio il Vecchio, scrittore romano definito “ cronista dell’epoca”, egli non fu medico di professione. Aulo Cornelio Celso scrisse una vasta opera enciclopedica, De Artibus, in sei libri, l’ultimo del quale dedicato alla medicina, dove ha descritto molte patologie note in quel periodo e le loro cure. Mentre tutte le altre opere sono andate perdute, quella sulla medicina, il De re medica, si è fortunosamente salvata, fu ritrovata dopo quattordici secoli da Papa Niccolò V nella chiesa di S. Ambrogio a Milano, quando egli si chiamava solo Tommaso Perentucelli ed era suddiacono della sede apostolica.
Il De re medica è suddiviso in otto sezioni, preceduti da una lunga prefazione nella quale l’Autore traccia la storia della Medicina dai tempi di Omero fino ad Asclepiade di Bitinia (medico greco vissuto tra il 129 a.C. e il 40 a.C.), e termina con l’esortazione a ricorrere alla dissezione del cadavere, tutte le volte che il medico vuole approfondire le sue conoscenze anatomiche e patologiche.
Gli argomenti trattati nel De re Medica sono:
- Nella prima parte, la dieta e l’igiene.
- Nella seconda, l’etiologia, la sintomatologia e la prognosi delle malattie e dei fattori che le influenzano.
- Nella terza sezione, le febbri e la loro terapia, e ha riportato la famosa tetrade semeiotica dell’infiammazione: rubor, tumor, calor et dolor.
- Nella quarta parte, l’anasarca, il tetano, l’asma, la polmonite, gli ascessi tonsillari, la splenomegalia, la dissenteria e l’artrite.
- Nella quinta, la materia medica e i medicamenti (purganti, sudoriferi, vomitivi, narcotici, ecc.).
- Nella sesta parte, le malattie della pelle.
- La settima sezione, la chirurgia.
- Nell’ottava, le fratture e le lussazioni.
Nel settimo volume Celso ha descritto alcuni interventi chirurgici: la litotomia laterale, l’operazione per cancro del labbro inferiore, gli interventi di plastica per le perdite di tessuto, l’asportazione di cataratta, la tonsillectomia e l’intervento per il varicocele.
Nel volume sono descritti gli strumenti chirurgici adoperati per eseguire gli interventi, gli scalpelli (scalpri) di varia forma, le sonde (specilli), gli uncini (unci), le pinze (forceps), le tenaglie, i trapani, le seghe, le spatole, oltre che le ventose (cucurbitae), le compresse, le corregge.
Uno dei meriti del De re medica è la traduzione in latino della terminologia medica greca, precisamente in epoca precedente a Celso, il linguaggio usato dai medici per esprimere tutto quello che riguardava l’arte medica, era in lingua greca.
L’opera è stata pensata e creata come un’enciclopedia medica, l’autore ha rielaborato numerosi testi greci e latini, dando un’originale impostazione metodologica che riuniva l’approccio empirico con quello razionale; egli ha trattato argomenti di chirurgia e di medicina dalla veste di un erudito, piuttosto che da quello di un conoscitore dell’argomento, facendo un grande elenco di pratiche comuni a Roma. Questi scritti sono utili per comprendere lo sviluppo raggiunto dalla medicina e dalla chirurgia in quell’epoca. Nel De re medica Celso descriveva una malattia che deformava e dilatava le vene della regione scrotale e che determinava una riduzione del volume e della consistenza del testicolo. Si deve pure a Celso la descrizione del primo trattamento chirurgico consistente nel taglio delle varici tra due legature.
Nel 1540 Ambrosius Paretus definiva il varicocele come un “ pacco compatto di vasi ripieni di sangue melancolico”.
Nel 1.650 J. L. Petit (1674-1760) chirurgo dell’epoca, eseguì nel varicocele la legatura delle vene scrotali ectasiche e ottenne alcune guarigioni durature. Egli fu il primo che documentò che, la legatura e l’esclusione dal circolo ematico di queste vene, poteva determinare la guarigione. Mentre Celso rielaborò e descrisse l’intervento riportato nei numerosi testi greci consultati, Petit li eseguì personalmente, essendo chirurgo e nei suoi scritti descrisse la tecnica operatoria adoperata, indicando quel percorso chirurgico, che modificato e perfezionato nei secoli da altri medici, ha condotto alla chirurgia dei tempi moderni. Petit ha inoltre il merito di avere descritto per primo il varicocele secondario, dove la deformazione delle vene scrotali, era conseguenza di un’altra patologia intervenuta nel paziente; infatti, riportò che alcuni malati non guarivano dopo l’intervento di legatura dei vasi, perché erano presenti tumori o malattie renali o addominali e in questi casi per guarire la patologia bisognava curare queste affezioni.
Nel 1700, Giovan Battista Morgagni (1682-1771) medico italiano docente universitario a Parma poi a Bologna e infine a Padova, fu un grande scienziato considerato il fondatore dell’anatomia patologica e definito “il Padre della patologia moderna in Europa”; egli considerava l’organismo come un complesso meccanismo, la salute era la somma del lavoro armonico delle macchine organiche, delle quali molte sono minute e delicatissime, nascoste nei recessi degli organi rilevabili solo all’esame microscopico. Queste macchine tendono a deteriorarsi e a guastarsi e per rilevare questi danni era necessario un esame delle lesioni organiche. Nei suoi libri descrisse gli organi del collo, i grossi vasi e gli organi della riproduzione, le malattie del collo, del petto e dell’addome, alcune affezioni chirurgiche e ginecologiche. Il metodo di esposizione era caratterizzato dalla descrizione della sintomatologia, del reperto anatomico, del suo riflesso clinico e della storia del paziente.
Giovan Battista Morgagni
G.B. Morgagni e un altro antico anatomo-patologo A.P. Cooper (1768-1841), descrissero, le differenze anatomiche nello sbocco della vena spermatica interna, che a sinistra finiva ad angolo retto nella vena renale, mentre a destra s’immetteva nella vena cava inferiore ad angolo acuto. Questa descrizione anatomica, ha permesso ad altri medici di quell’epoca, di dare una prima spiegazione scientifica perché il varicocele era presente prevalentemente nel lato sinistro del corpo.
Nel 1856 fu Curling il primo a suggerire una correlazione tra varicocele e infertilità maschile, osservando una diminuita capacità secretoria del testicolo nei portatori di questa malattia, poi Bennet nel 1889 segnalò, che dopo la correzione chirurgica, la qualità dello sperma migliorava.
Questi due studiosi, con il loro lavoro hanno confermato che il varicocele poteva determinare sterilità ed hanno permesso quello sviluppo delle ricerche e delle conoscenze, necessarie per una comprensione della correlazione varicocele-infertlità.
Questi e altri Autori hanno descritto fenomeni secondari associati alla malattia, frigidità psicogena, uno scadimento della virilità, una diminuita capacità di generare, una meiopragia venosa trasmessa geneticamente, una localizzazione prevalente della malattia all’emiscroto di sinistra.
Nel 1929 Macomber e Sanders hanno verificato che l’analisi sulla concentrazione degli spermatozoi nell’eiaculato, era utile per differenziare gli uomini fertili da quelli infertili.
Mc Leod (1965-1971) ha definito nei soggetti affetti dal varicocele la “Seminal Stress Syndrome” un quadro di modificazioni cellulari nello sperma (oligoastenospermia, teratospermia, presenza di spermatidi) sicuramente dovute alla malattia.
Nel 1951 Mac Leod e Gold proposero il valore di venti milioni di spermatozoi per millilitro di eiaculato, come limite per separare il paziente fertile dall’infertile; mentre nel 1977 Smith e Steinberger proposero un valore di dieci milioni di spermatozoi come valore normale.
Oggi manteniamo il primo valore segnalato da MacLeod e Gold come limite tra normalità e bassa concentrazione spermatozoaria, ma sappiamo che è importante valutare anche altri parametri dello sperma per giudicare la fertilità dell’individuo, infatti, con valori inferiori a venti milioni di spermatozoi, sono possibili gravidanze senza grandi difficoltà.
In tempi recenti il varicocele è stato oggetto di approfondimenti scientifici da parte di molti illustri medici, che hanno permesso di chiarire i diversi aspetti di questa patologia, grazie anche alle metodiche strumentali oggi a disposizione. La diagnosi di malattia è fatta il più delle volte ai primi stadi, in età puberale e le moderne terapie chirurgiche o le terapie di radiologia interventistica, prevengono i deficit nella spermatogenesi, che causano infertilità.
*Dott. Vincenzo Ajovalasit
Dirigente medico di Chirurgia Pediatrica
Ospedale Casa del Sole
Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti “Villa Sofia – Cervello” Palermo