Una ricetta per il cenone
tratto dal racconto Una vigilia di Capodanno in famiglia
di Rosa Maria Ponte
— Bisogna fare un’incisione con un coltellino affilato dallo sterno in giù, spiegava, poi si apre la pancia e per prima cosa si tolgono le interiora. Dopo, lavorando col coltellino, si vanno staccando le ossa, a poco a poco, con mano delicata, stando attenti a non forare la carne altrimenti il ripieno esce fuori.
— Si potrebbe comprare già disossato, — disse Luisa — credo che nelle macellerie, se lo ordini in tempo, possono prepararlo per la mattina della vigilia.
— Eh, no. Non è la stessa cosa, — continuò Agata —, lì fanno il lavoro in fretta e lasciano sempre qualche ossicino che finirà per incastrarsi tra i denti, e poi dirai: “accidenti, ci avessi pensato io!”. No, no, mia madre mi ha insegnato così, lei sapeva cucinare bene, ma solo quando ne aveva voglia, quando non era alle prese con la sua montagna di libri, romanzi e racconti, che stava a leggere tutto il giorno sdraiata sul divano dello studio di mio padre. Abitualmente cucinava la donna a mezzo servizio. Ma per il cenone della vigilia …
— E cosa ci metti per ripieno in questo benedetto pollo?
— Castagne, prima bollite con un chiodino di garofano, pinoli e pistacchi tostati, un po’ di uva passa, ma senza esagerare, del parmigiano. Si mescola il tutto con i fegatini stufati nel burro, la carne tritata, metà di maiale e metà di vitello, e si aggiunge all’impasto sale quanto basta, una grattatina di noce moscata e del prezzemolo tritato finemente. Poi si riempie il pollo come se fosse un sacchetto, ma senza pigiare troppo. Infine si ricuce la pancia con ago e filo, si riveste il pollo con fette di pancetta e poi si lega con lo spago. Si sistema in una teglia cosparsa di fiocchetti di burro e si mette nel forno. Deve cuocere a calore moderato per circa un’ora e mezza, dipende dalla grossezza, bagnandolo ogni tanto con del Marsala secco. Per verificare se è ben cotto si infila uno stecchino, di quelli lunghi, di legno che servono per fare gli spiedini. Quando non esce liquido dal buco, significa che è cotto.
— Non sembra difficile. Penso che l’anno prossimo proverò a farlo, per la vigilia di Capodanno, s’intende, anche se siamo solo io e mio marito. Credo che se avanza si potrà conservare per qualche giorno.
— Certamente. Noi stasera lo consumeremo sicuramente tutto, come ogni anno perché a mia sorella piace molto, le ricorda la mamma, e anche a mio cognato. I ragazzi, i miei due nipoti, quest’anno andranno fuori per il veglione, ormai sono grandi e hanno i loro amici. Metterò la loro porzione in un contenitore e lo darò a mia sorella così domani anche loro potranno mangiarlo.
– Non ho incontrato mai tua sorella, ti somiglia? Come si chiama? — Chiedeva Luisa.
Si stava facendo tardi e nell’androne c’erano certi spifferi. Attraverso la vetrata si vedeva che fuori c’era freddo, la gente passava tutta imbacuccata. Agata aveva fretta. Luisa era una gran chiacchierona e poi era così curiosa …
— Non mi somiglia per niente, anzi è tutta il contrario di me: alta, snella, castana chiara, quasi bionda, veste sempre elegante e va due volte alla settimana dal parrucchiere. Sembra molto più giovane, ma siamo gemelle. Anche il nome ha più bello, si chiama Irina.
– E come mai questo nome, non è straniero? Chiese Luisa che voleva solo allungare il sugo di quella conversazione. Tanto lei non aveva niente da fare, non aveva invitati per il cenone.
– Mia madre leggeva sempre romanzi russi, era una patita, ecco perché.
– Certo il tuo nome non è bello, più che altro non è di moda, ma è il nome della santa patrona di Catania, che era senza seni, perché era stata torturata e le erano stati tagliati, ho sentito dire.
– Forse per questo anch’io ho poco seno, anche se tutto il resto è fin troppo abbondante.
– Dovresti dimagrire un po’,— ti dico — e poi andare più spesso dal parrucchiere, non due volte alla settimana come tua sorella, certo lei esagera. Sai che sono curiosa di conoscerla?
– Qualche volta capiterà, tagliò corto Agata.