Il dialetto siciliano attraverso i secoli e la poesia popolare
(Tommaso Aiello)
“Noi non siamo né Joni, né dori, ma Siculi”, è quanto afferma Ermocrate nel 424 a.C. sancendo così la costituzione della nazione siciliana. L’identità nazionale del popolo siciliano è stata favorita dalla necessità della difesa e soprattutto dalla naturale insularità che ha portato a trovare un veicolo ideale nella lingua.
La lingua viene considerata a ragione l’elemento di unità di una nazione perché capace di resistere alle influenze di tante altre culture con le quali viene a contatto; capace addirittura di acquisire da ognuna di esse quanto di volta in volta ritiene più utile al suo arricchimento. E allora siamo d’accordo con Marco Scalabrino parlando di una lingua greco-sicula, latino-sicula, franco-sicula, italo-sicula. Ma sempre e sostanzialmente una e una sola lingua : il Siciliano. Pertanto la lingua è l’anima di un popolo ed è quella che dà libertà ad un popolo.
Cantava Ignazio Buttitta:”un populu,diventa poviru e servu quanno ci arrobanu a lingua adduttata di patri:-è persu pi sempri”.
Della lingua siciliana si hanno notizie fin dal 1230,quando una colta élite di burocrati e funzionari della corte di Federico II, monarca del regno Svevo proclamato imperatore nel 1220, si diede a coltivare l’arte della poesia volgare.
Lo splendore del volgare siciliano fu tale che lo stesso Dante Alighieri nel “De vulgari eloquentia” affermava che tutto ciò che gli italiani poeticamente compongono si chiama siciliano e definì tutta la produzione poetica siciliana col nome di “Scuola Siciliana”.
Tra i più famosi poeti di lingua siciliana troviamo Cielo D’Alcamo, giullare particolarmente colto che scrisse il celebre componimento”Rosa fresca aulentissima” e Giacomo da Lentini, da molti ritenuto l’inventore del sonetto. Dante gli attribuì il titolo di caposcuola della lirica siciliana dato che nei suoi componimenti erano presenti tutti gli stili letterari siciliani fino ad allora usati: sonetto,canzone e canzonetta.
Qualche tempo dopo, l’influenza della lingua siciliana si affermò anche nel nord-Italia, soprattutto in Toscana dove si venne a formare una corrente di poeti, i poeti siculo-toscani, che in seguito avrebbero dato origine alla Scuola del Dolce Stil Novo e alla lingua italiana che si affermò come lingua del popolo italiano al contrario del siciliano che fu relegato al ruolo di semplice dialetto regionale. Pur tuttavia questo dialetto mantenne sempre nei secoli una sua dignità e uniformità, tanto che il glottologo tedesco Gerald Rohlfs scrisse che nell’isola esiste un dialetto unitario. Le differenze che si possono notare nel lessico derivano quasi esclusivamente dalla presenza, più o meno, di avanzi del greco e dell’arabo.
Se esistono talune volte, tra un territorio e l’altro, delle piccole variazioni sono da attribuirsi, come afferma Salvatore Riolo e lo stesso Guido Barbina, più al suono che al vocabolo stesso:”me soru”a Palermo e Agrigento,”ma sueru”a Canicattì;”ovu”e “uevu”,”picciottu” e “picciuettu”,”cacocciula”e”cacuecciula”.