OPERAZIONI MILITARI IN AFGHANISTAN
( Giuseppina Cuccio)
Pur adottando ogni accorgimento, non è possibile ridurre i rischi che i nostri militari affrontano in Afghanistan. Questo i soldati italiani lo sanno, eppure partono. Per guadagnare di più? E’ una domanda troppo facile e banale. Si parte per dare il meglio di sé, per vivere un’esperienza irripetibile, per sentirsi utili. Purtroppo quando un militare muore risalta l’ambiguità delle parole che tutti, opinione pubblica e mondo politico, usano per indicare la partecipazione dei soldati italiani alla guerra in Afghanistan. Si parla infatti di operazioni militari, quando si tratta di guerra nell’ambito indicato dal’art.11 della nostra Costituzione: “ L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Queste parole richiamano quelle con le quali nel 1945 la Carta delle Nazioni Unite impegnava gli stati membri a risolvere le loro controversie con mezzi pacifici e a usare le armi solo per difendersi da un’aggressione, lasciando invece all’intervento collettivo la difesa dalle minacce e il ristabilimento della pace. E’ utile chiarire che le missioni O.N.U. sono delle guerre, ma molto lontane da quelle di un tempo fatte dagli stati nazionali senza remore di alcun tipo. Le missioni O.N.U. hanno regole di comportamento precise e ferree, ma ciò nonostante sono delle vere guerre. Allora ancora una volta evitiamo imbarazzati silenzi ed incomprensioni nell’opinione pubblica, favoriamo la corretta informazione, cominciando dalla Carta costituzionale. In questo ambito i media hanno dei compiti importanti da svolgere.