A proposito di tango
dal racconto “Fantasmi a Buenos Aires” di Rosa Maria Ponte
Scendendo dalla Recoleta, sotto il portico, proprio alle spalle del centro commerciale “Patio Bullrich”, vide un bar con tanti tavolini all’aperto. Si sentiva esausto e ancora per l’albergo c’era parecchia strada. Un espresso all’italiana gli avrebbe tolto la stanchezza e forse, magari, quell’inspiegabile tristezza che gli scrittori inglesi dell’Ottocento chiamavano spleen. Non era un bar elegante, ma un locale alla buona. Se non avesse trovato l’espresso un qualsiasi caffè sarebbe andato bene lo stesso. I tavolini erano tutti vuoti forse per l’orario: non erano nemmeno le quattro. Però il posto non era completamente deserto, come gli era sembrato a prima vista. Infatti non aveva notato una donna, un’anziana, che se ne stava, tutta sola, seduta davanti a un bicchiere di chissà cosa. Non era certo una persona da passare inosservata, il suo aspetto era alquanto eccentrico e si poteva definire, con una sola parola, démodé. La sua pettinatura ricordava quella delle ballerine di tango di una volta: capelli di un nero corvino lucidi di brillantina, ondulati sulla fronte e ai lati delle guance e raccolti dietro in una crocchia bassa. Il volto della donna era coperto di rughe che il pesante trucco rendeva più evidenti come profondi solchi che un contadino ostinato avesse voluto scavare con l’aratro su un campo sterile. Gli occhi neri, sotto le palpebre pesanti, coperte da uno spesso ombretto blu, sembravano fissare assorti il liquido giallognolo contenuto nel bicchiere. Indossava un vestito lungo di seta, che una volta era stato nero, adorno di merletti sul davanti e nel bordo delle maniche che arrivavano ai gomiti. Pesanti orecchini falsi, adorni di grosse pietre verdi le pendevano ai lati del viso deformandole i lobi delle orecchie. Daniele prese posto in un tavolino di fronte a lei. Ora osservandola meglio, più che una ballerina di tango in pensione, le sembrava una cartomante, forse una zingara, di quelle che nella borsetta tengono sempre le carte dei tarocchi, pronte da tirar fuori alle spese di qualche sprovveduto. E in effetti, sul tavolino c’era una borsetta di perline rigonfia, antiquata come tutto il resto. Fece un discreto cenno con la mano al cameriere che se ne stava a fumare davanti all’ingresso del bar. Ma prima che questi, con passi strascicati, si avvicinasse, la donna aveva alzato gli occhi e si era messa a scrutarlo corrugando le sopracciglia, come si fa quando ci si vuol rendere conto che qualcuno, che ci sembra di conoscere, sia, a ben guardare, una persona a noi familiare. Ordinò al cameriere il caffè. Gli occhi della donna ora lo fissavano sorridenti come a dire: “Finalmente ho capito chi sei!”. Subito dopo le sue labbra, truccate con un rossetto scuro che ai bordi si infiltrava sbavandosi tra le rughe, si aprirono in un largo, invitante sorriso.
-Dove ho già visto simili denti bianchi e lucenti, perfetti, ma fuori luogo nella bocca di una vecchia?- si chiedeva Daniele.
Gli ritornò in mente quel pomeriggio di alcuni giorni prima, così decisivo per la sua vita, in cui aveva assistito, in una libreria di Palermo, alla presentazione di quel romanzo. Il relatore aveva parlato, di una vecchia ballerina di tango, di un sorriso enigmatico, di un messaggio segreto … Immerso in quei ricordi che lo portavano fuori dal tempo, gli parve che la donna gli facesse gesto di avvicinarsi, di sedersi al suo tavolo. Lui non sapeva decidersi, ora gli avrebbe sicuramente proposto di leggergli i tarocchi o la mano, come già gli era capitato in Spagna. Ma si sentiva lo stesso attratto, come affascinato, e pensò di sedersi al suo tavolo, di fronte a lei. ( Continua)