LA NARRATIVA DELL’ESTATE
Comincia oggi la pubblicazione dei racconti di Dante Maffia da
“ LA DONNA CHE PARLAVA AI LIBRI”
GIULIANO MORTARETTI, Rosanna, Spezzano Albanese, Tipografia Laborintus, 1979
I venti anni di Rosanna sono belli. Quando cammina per strada si girano tutti a guardarla. Ha il portamento da regina, il sorriso che fascia, gli occhi sorridenti. Ogni tanto viene a trovarmi nello studio e anche se in quell’istante sto cavando un dente lei entra, si siede e comincia a parlare. Qualche cliente se l’è presa a male, non ha accettato la sua intrusione. Effettivamente lei è invadente, parla di continuo, racconta (e non importa se l’ascoltano) le cose che le sono accadute, i suoi dispiaceri, le avventure.
Ha fatto l’amore con quarantadue uomini (non contemporaneamente, si capisce), ma ancora nessuno è riuscita a sconvolgerla: Gino si sbrigava troppo presto, Claudio pretendeva cose strane, Marco sembrava addormentarsi mentre lo faceva, Lorenzo aveva il fiato pesante, Dario preferiva toccarsi più che toccarla, Eugenio sembrava sempre assente… Conclude dicendo che probabilmente l’amore non esiste; c’è il sesso vissuto variamente e così sia.
Rosanna è una lettrice molto acuta anche se ha il difetto di leggere tutto, proprio tutto degli autori che predilige. È ossessiva. Ultimamente s’è imbattuta in Camus, L’uomo in rivolta, Lo straniero, La peste, e non perde occasione, conoscendo la mia passione per la lettura che posso soddisfare tra una pausa e l’altra del mio lavoro di dentista, per venirmene a parlare. Mi ripete a memoria interi brani dei testi, mi sottolinea la bellezza delle espressioni, la profondità del pensiero, la stringatezza delle immagini.
“È un genio”, ripete, “un genio raro”.
L’altro giorno ero stanco e irritato e non mi andava di sentire le solite tiritere su Camus, e così le ho detto che molti considerano questo scrittore un ladro di galline, uno che ha saputo rubacchiare a destra e a manca per trarne opere alle quali ha prestato soltanto la sua intelligenza e la sua cultura ma non la sua creatività. Come del resto Italo Calvino ed Eugenio Montale.
Non l’avessi mai detto. Mi s’è scagliata contro come una furia, ha gridato che Calvino e Montale sono due pecorelle in confronto al colosso Camus, che bisogna stare attenti a come si parla, e leggerli, gli scrittori, non parlare per sentito dire.
Il suo amore per Camus è totale.
“Se fosse vivo ci scoperesti con Camus?”.
“Eccome!”, ha risposto immediatamente.
“Sarebbe il quarantatreesimo?”.
“Lui varrebbe per mille”.
Anche questa sicurezza, perbacco.
Mi ha irritato.
“Ascolta, Camus ha copiato interamente La peste da uno scrittore calabrese, Raoul Maria de Angelis, lo sapevi? C’è stata anche una polemica tra i due”.
“Allora? Forse che prima di Dante Alighieri non c’erano poeti che avevano scritto di inferni e di paradisi? E forse che prima di Goethe non ci sono stati altri trecento che hanno scritto un Faust? È il come che conta, il come un’opera si realizza”.
Allora mi sono calmato e ho semplicemente detto che però sarebbe bene che parlassimo un po’ di più degli italiani e non sempre dei francesi.
Poi l’ho accarezzata e accarezzandola le ho sussurrato:
“Lo sai che ho conosciuto Camus? Spizzava fascino da tutti i pori. Ogni sua parola era una spada di luce che spaccava le tenebre”.
Avevo alzato la voce all’enfasi e lei rimase sorpresa e come colta in fuori gioco.
“Fai attenzione, io sono stato unto dalla sua presenza, e ho conservato per sempre un po’ della sua grandezza”.
Era un gioco, forse lo aveva capito anche lei, ma ne fu travolta. Mi si avvicinò come una gatta in calore, il suo corpo pareva mandare scintille.
Finimmo rapidamente sul divano. Ansimava.
“Mio dolce immenso Camus”, diceva, “mio adorato eroe, anima dei miei sentimenti, dio della profondità, dolore del mondo che sa diventare gioia”.
Mai nessuno mi aveva detto frasi di questo genere. Cominciai a credere di possedere davvero una briciola di genio dello scrittore francese e mi abbandonai.
Rosanna, tra i singhiozzi del piacere, arrotolava frasi de L’uomo in rivolta. Nella frenesia dell’amplesso io le osservavo i denti: bianchissimi, senza una carie. Immaginavo il rumore del trapano, i suoi lamenti. Che subito arrivarono furiosi, da crisi epilettica.
Da allora mi chiama dottor Camus. Più d’una volta abbiamo fatto l’amore spargendo sul letto le opere del francese. La sua presenza è eccitante, e capita persino di mettere la copia di un testo tra il mio ombelico e il suo, proprio mentre stiamo per arrivare all’orgasmo.