PER IL CENTOCINQUANTESIMO ANNIVERSARIO DELL’UNITA’ D’ITALIA
(Gabriella Maggio)
27 maggio 1860 La battaglia di Palermo
PROCLAMA DI GARIBALDI A’ SICILIANI IL 27 MAGGIO APPENA ENTRATO IN PALERMO
SICILIANI, Il generale Garibaldi Dittatore a nome di S.M. Vittorio Emanuele Re d’Italia, essendo entrato in Palermo stamattina 27 maggio, ed avendo occupato tutta la città, rimanendo le truppe napoletane chiuse solo nelle caserme e nel forte di Castellamare, chiama alle armi tutti i comuni dell’Isola, perché corrano nella metropoli al compimento della vittoria.
Dato in Palermo oggi 27 maggio
G.Garibaldi
SCONTRO DEL PONTE DELL’AMMIRAGLIO
IL PONTE DELL’AMMIRAGLIO OGGI
“I regi , fortemente asserragliati dietro il Ponte Ammiraglio, spazzano con un turbine di moschetteria e di mitraglia la via e i campi…., ma …Bixio colle coorti di Calatafimi sopraggiunge al rincalzo…..e il ponte dell’Ammiraglio è conquistato.” ( G. Guerzoni, uno dei Mille e biografo di Garibaldi)
Scrive il “Giornale Officiale di Sicilia” del 29 maggio 1860 :” Il bombardamento di Palermo è un fatto che completa il disonore dei mercenari del Borbone. Pare veramente impossibile che Italiani possano a sangue freddo affaticarsi a trucidare senza pro per lo scelerato loro padrone, famiglie inermi ed innocenti.”
Racconta G. C. Abba in “Da Quarto al Volturno”
31 maggio. Palermo. Nel Convento di San Nicola.
Tre giorni durò la bufera infernale, che scatenammo sopra Palermo; più di tre giorni! Chi non fu nella lotta deve essersi sentito al punto di venir pazzo. E noi eravamo partiti da Gibilrossa allegri, come ci fossimo incamminati a portar qui una festa!…….Ma che cosa fanno i Palermitani, che non se ne vede? – chiesi ad un popolano che sbucò da una porta armato di daga.
– Eh, signorino, già tre o quattro volte, all’alba, la polizia fece rumore e schioppettate, gridando viva l’Italia, viva Garibaldi. Chi era pronto veniva giù, e i birri lo pigliavano senza misericordia.- Oh!… E i Palermitani ora han paura d’un nuovo tranello?….Con quel popolano demmo entro pei vicoli sino a via Maqueda. Là, solitudine e cannonate dall’un dei capi, tirate forse contro un giovinotto che si sfogava a calpestare un’insegna reale strappata giù dal portone d’un gran palazzo. Passammo in un altro vicolo… Dio, che visione! Aggrappate colle mani che parevano gigli, a una inferriata poco alta ma ampia, sopra un archivolto cupo, tre fanciulle vestite di bianco e bellissime ci guardavano mute.
Ci arrestammo ammirando.
– Chi siete?
– Italiani. E voi?
– Monacelle.
– Oh poverette!
– Viva Santa Rosalia!
– Viva l’Italia!
Ed esse a gridare: “Viva l’Italia!” con quelle voci soavi da salmo, e ad augurarci vittoria. Entrammo in piazza Bologni, già occupata da un centinaio dei nostri….In Piazza Pretoria v’era tal folla che……Il Dittatore dal balcone a sinistra, quasi sull’angolo di via Maqueda, finiva un discorso di cui colsi le ultime parole: “… Il nemico mi ha fatto delle proposte che io credei ingiuriose per te, o popolo di Palermo; ed io sapendoti pronto a farti seppellire sotto le ruine della tua città, le ho rifiutate!”.