"Immigrati sono risorsa per il Paese, colonna portante del welfare"
di Vera Ferrandi
Chianciano Terme (Siena), 16 aprile 2010 – L’eguaglianza dei diritti è la condizione essenziale per l’integrazione. Partendo da questa premessa, l’Arci chiede di riformare la legge sulla cittadinanza e di concedere il diritto di voto amministrativo agli immigrati.
Due esigenze di cui si è fatto portavoce il presidente dell’associazione Paolo Beni, nella relazione che ha aperto il XV congresso nazionale dell’Arci a Chianciano che si concluderà domenica prossima.
Sul tema dell’immigrazione, ha sostenuto Beni, “è veramente l’ora di rompere il muro dell’ipocrisia e aprire gli occhi alla realtà: gli immigrati sono ormai una componente importante della società italiana, una risorsa decisiva per interi settori produttivi” e “una colonna portante del sistema di welfare col loro lavoro di cura nelle nostre famiglie; danno un contributo consistente agli introiti previdenziali”.
“Tutti lo sappiamo – ha aggiunto il presidente dell’Arci – ma la tv e certi politici continuano a presentarceli come una minaccia e alla fine ci crediamo. É una follia. Chi ha gli strumenti per orientare il senso comune dovrebbe aiutare le persone a convivere coi cambiamenti, non assecondarne i pregiudizi e soffiare sul fuoco delle paure”. “Per questo la legge sulla cittadinanza va riformata subito, se abbiamo a cuore il nostro futuro. Per questo una buona legge sul diritto di voto amministrativo per gli immigrati regolari è il passaggio chiave per una vera integrazione”.
“Invece -ha concluso il presidente dell’Arci – si insiste su un proibizionismo che serve solo ad alimentare il pregiudizio e confinare i migranti in uno stato di subalternità, senza diritti nè tutele, spesso in condizioni di sfruttamento disumane. Fino ai tragici esempi di sadismo legislativo di questi mesi: il pacchetto sicurezza, il reato di clandestinità, la pratica disumana dei respingimenti in mare”.
“C’è un problema di razzismo in Italia, c’è nella società e nelle istituzioni” – ha poi spiegato Beni. Si tratta, a parere del presidente dell’Arci, di un “razzismo popolare e di stato” che “si alimentano e legittimano a vicenda, in un nesso perverso fra diritto e senso comune in cui non è il diritto a orientare il senso comune ma questo a condizionare il legislatore. Dobbiamo capire le ragioni di questa deriva. É un razzismo senza ideologia – conclude Beni – la reazione patologica di una società impaurita che cerca rassicurazione nell’esaltazione identitaria e nell’ostentazione di superiorità”.