Come eravamo
Scorci di imprenditoria straniera in Sicilia tra Ottocento e Novecento[1]
(Renata De Simone)
I Parte
La storia, si dice, è maestra di vita, dovrebbe cioè dare suggerimenti e stimoli al nostro agire. In un’epoca come quella in cui viviamo, di crisi globale che investe pesantemente il mondo del lavoro, penalizzando in particolar modo il Sud del nostro Paese, che appare ripiombare in un grave stato di emarginazione e nella mancanza di prospettive concrete di sviluppo, mi viene in mente un periodo storico non certo privo di contrasti di ordine politico, sociale e culturale per la Sicilia, ma pure pullulante di esempi virtuosi che vedono l’isola centro di interessi economici tali da attirare nell’Isola capitali e imprenditoria straniera: il secolo XIX. Come sempre mi fanno da guida documenti e immagini conservate gelosamente negli archivi siciliani.
Dalle carte dell’archivio Whitaker di villa Malfitano, dimora famosa per il giardino ricco di piante tropicali, tra cui le prime strelizie con fiori a becco di pappagallo e tra i più imponenti esemplari di ficus magnolioides esistenti a Palermo, emerge la figura di Benjamin Ingham. Questa nobile figura di imprenditore e finanziere impiantò nel 1806 a Marsala uno stabilimento vinicolo insieme al nipote Joseph Whitaker, seguito da altri coraggiosi imprenditori, come Thomas Corlett e James Hopps, nella scia di John Woodhouse, che, stabilitosi nel baglio dell’ex tonnara Cannizzo di Marsala già nel 1794, come risulta da un contratto notarile conservato all’archivio di Stato di Trapani, aveva creato in quel luogo il primo stabilimento della Casa. Fu Woodhouse a sottoscrivere un contratto con Orazio Nelson per la fornitura di vino alla flotta britannica di stanza in Sicilia nel marzo 1800, facendo così pubblicità al vino di sua produzione .
I Whitaker abitarono dal 1889 nel capoluogo siciliano, a villa Malfitano, così detta perché sorta nel quartiere un tempo abitato da mercanti di Amalfi e intrattennero rapporti sociali oltre che con la migliore aristocrazia locale, con le famiglie inglesi di Palermo, città divenuta, nel corso del secolo, teatro di un’intensa e mondana vita di società.
Ma il vino non fu l’unico interesse della famiglia. Il nipote di Joseph, detto Pip, appassionato di archeologia, acquistata Mozia, finanziò nell’isola imponenti scavi, richiamando archeologi e storici dell’arte antica, dal siciliano Salinas ad Isserling , Ashby ed altri.
La moglie di Joseph Pip, Tina Scalia, cultrice non mediocre di musica e canto, tanto da ricevere apprezzamenti dal grande Wagner, organizzò feste e concerti presso la villa di via Dante, dando ospitalità a sovrani di mezza Europa, i Reali inglesi Giorgio V e la regina Mary, Edoardo VII e la regina Alessandra, il Kaiser, l’imperatrice Eugenia, Re Vittorio Emanuele III e la regina Margherita.
La coltivazione intensiva della vite avviata nella zona del trapanese nei primi decenni dell’Ottocento, modificando la tradizionale struttura del territorio, fu supportata da tecniche moderne di vinificazione (con l’uso delle prime caldaie a vapore), dando garanzia di risultati eccellenti dal punto di vista qualitativo e assicurando sicura redditività del prodotto. L’attività di commercializzazione del vino Marsala, vino liquoroso che poteva competere con i prodotti spagnoli e portoghesi, superò presto il mercato europeo raggiungendo quello americano.
[1] Si rinvia al catalogo della mostra Frammenti d’Europa in Sicilia,secc.XIX e XX a cura di V.Mazzola e R.De Simone, Palermo 1997 e al saggio di R.Giuffrida Investimenti e capitale straniero in Sicilia (1556-1855) Palermo,1991