La storia dei guanti: il 1300
Nel Trecento il dono di guanti aveva una significazione simbolica nella stipulazione dei contratti di vendita o di concessione temporanea di terreni: n’abbiamo diretta testimonianza in Sicilia da un documento nel quale la Regina Bianca di Navarra dà atto di aver ricevuto da un tal Antonio Cortella, familiari et fideli nostro uno paru di guanti di saactu, ossia di pelle, in relazione alla perpetua concessione di un terreno di proprietà reale (1).
Nel Trecento i guanti erano di uso non generale, ma limitato a certe categorie di persone. Il De Mussis, nella sua descrizione pur così particolareggiata dell’abbigliamento, non li nomina, mentre il Sacchetti li ricorda incidentalmente, lamentando che gli uomini mettano “in un guanto più panno che in un cappuccio, dando al polso un braccio di panno). Forse allude al guanto dei falconieri. Folgore da San Gimignano raccomanda appunto ai giovani che vanno a caccia col falcone, di provvedersi di guanti. Per i falconieri i guanti erano di camoscio mentre i guanti di lana erano disprezzati. Allora i guanti si vendevano per dozzine o mezze dozzine. Come già in passato i guanti sono indicati nei documenti del tempo anche con i termini di ciroteche e di mofete, particolarmente nell’uso ecclesiastico. Quale insegna della loro autorità portavano i guanti i giudici, i medici (e forse tutti gli addottorati), gli alti ecclesiastici e i capi di stato, come il Doge. Il guanto nel 1300 non ha perso dunque il suo valore simbolico: lo si da ancora in pegno per un obbligo assunto, e lo statuto bergamasco del ‘353 sancisce l’antico uso del regalo di un paio di guanti di camoscio a chi conduce a cavallo la sposa alle nozze. I guanti potevano raggiungere un valore elevato, per i preziosi ornamenti: ricami, cordoncini d’oro, fiocchi, bottoni e persino placche smaltate con immagini di santi applicate sulla parte che copriva il dorso della mano. I guanti italiani erano esportati e apprezzati oltralpe, sebbene in Spagna e Francia vi fossero corporazioni di guantai i cui prodotti erano pure molto pregiati. La pelle di lepre e di cervo, il cuoio, le fodere di pellicce di vaio erano usate specialmente per i falconieri o per proteggersi dal freddo, come la lana; ma esistevano leggeri guanti di tela.
Anche per le donne i guanti sono un complemento prezioso e raffinato della loro eleganza. Ne abbiamo testimonianza in due sonetti del Petrarca: il poeta si gloria infatti di aver rapito il
Candido leggiadretto e caro guanto
Della sua donna
che copria netto avorio e fresche rose
E si duole di averlo dovuto rendere. Dai suoi versi veniamo pure informati che il guanto destinato a coprire le dita “schiette e soave” di Laura era adorno
d’un bell’aurato e serico trapunto.
I guanti più eleganti erano dunque bianchi e ricamati in seta e in oro. A Venezia si usavano sia i guanti di seta, sia quelli di pelle di camoscio; e i guanti veneziani erano così rinomati che dalle altre città se ne faceva ricerca.. Nel trecento il dono di guanti aveva ancora una significazione simbolica nella stipulazione dei contratti di vendita o di concessione temporanea di terreni: ne abbiamo diretta testimonianza in Sicilia da un documento nel quale la Regina Bianca di Navarra dà atto di aver ricevuto da un tal “Antonio Cortella familiari et fideli nostro uno paru di guanti di soactu”(ossia di pelle) in relazione alla perpetua concessione di un terreno di proprietà reale. Come si è visto per gli uomini, i guanti avevano in molti casi un significato onorifico; molto strane paiono dunque quelle disposizioni che a Firenze, nel 1388, imponevano alle meretrici di uscire di casa con le mani sempre inguantate, e a Modena di averne un paio per ciascuna.