Salvatore Savoia
(Pasquale Hamel)
Salvatore Savoia, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Flaccovio editore, Palermo, 2010 Di Pasquale Hamel
G. Tomasi di Lampedusa
Pensata a lungo, timidamente proposta a se stesso, poi, come catartico processo giunto a maturazione, alla fine scritta. Potrebbe essere questo il percorso spirituale che precede il Giuseppe Tomasi di Lampedusa, di Salvatore Savoia opera con la quale si inaugura la collana Siciliani dell’editore-libraio Flaccovio. Ce lo fa intuire la lingua raffinata, l’eleganza dell’elaborato, il ritmo stesso del racconto che ne fanno, prima ancora di una comune biografia, un vero e proprio testo letterario. Savoia infatti non si limita alla narrazione di una vita, una di quelle “vite emblematiche” (ma quella del principe di Lampedusa può essere considerata tale ?) come scriveva lo stesso Tomasi nella sua biografia di Cesare; non è colui che impudicamente spia dal buco della serratura la quotidianità quasi banale di un personaggio che solo nello scorcio finale della sua esistenza da corpo e sfoga la creatività a lungo repressa in pagine oggi consegnate alla storia della letteratura italiana. Savoia ci appare invece partecipe di quella vita, vive un sodalizio virtuale con il Principe, lo segue nelle sue modeste peregrinazioni, nei suoi percorsi intellettuali, con discrezione e passo felpato, sfiorandone appena la vicenda umana, quasi sentisse l’imbarazzo di chi si è introdotto abusivamente in un mondo segnato soprattutto da dolorosi silenzi.
La discrezione con cui Savoia tratta ciascuno degli argomenti, la voglia di non disturbare con un inopportuno sguardo indagatore le singole fasi scandite dal lento scorrere del tempo ( il tempo pigro di Lampedusa) è un tratto che distingue questo volume da tanti altri anche perché, azzardiamo, l’autore, in realtà, non vuole scrivere solo una biografia – ci pare riduttiva la modestia con cui nell’introduzione dichiara “proverò a raccontare chi fosse” – , ma intende anche rivivere le esperienze intellettuali di un uomo del quale subisce grande fascinazione e con il quale sente, almeno così ci sembra, un forte affinità elettiva.
Una delle chiavi della liaison intellectuel, fra Lampedusa e il suo biografo, è anche l’amore per i libri, “manifestazioni vitali”, ci convince infatti il sapere che Savoia, oltre ad essere un appassionato lettore è anche lui un raffinato bibliofilo alla ricerca di introvabili chicche; lui stesso ci confessa di avere acquistato in un rigattiere alcuni volumi della imponente biblioteca di Giuseppe Tomasi.
Scrivere una biografia su Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore schivo e “incupito” dalla percezione di un tempo che scorre inesorabile e che sempre più considera non suo, è impresa non facile anche perché scrittori, come David Gilmour o, soprattutto, Andrea Vitello, autore di una monumentale biografia, avevano scavato nella vicenda umana dell’uomo restituendo, da angolature diverse, alla curiosità del lettore profili di estremo interesse. C’era infatti i rischio che l’operazione si traducesse in un ripetitivo clichè, un pericolo che Savoia ha scongiurato scegliendo proprio una cifra di scrittura che fa del suo Giuseppe Tomasi di Lampedusa, un qualcosa di assolutamente originale. E’ soprattutto la capacità di ricreare un’atmosfera, – vi si trovano pagine splendide che descrivono il contesto nel quale Lampedusa si trovò a percorre la sua esperienza umana – un ambiente vissuto come l’ebbe a vivere l’autore de Il Gattopardo, che sorprende il lettore, un lettore che corre il rischio di essere facilmente trascinato dalla fascinazione della parola scritta abbandonando il contenuto.
Non dunque il racconto di una vita, carico magari di quei pettegolezzi e di quegli aneddoti che ne potevano fare sapida la narrazione, ne ancora quel volere indagare, che è anche forma di violenza alla memoria, l’intimità o l’anima del personaggio adagiandolo sul lettino dello psicanalista, come ha fatto Vitello, ma un qualcosa di diverso, un seguire lo scorrere del tempo partecipando alle vicende dell’uomo di cui si scrive.
Questo non significa, però, che il tratto estetico particolarmente curato, che tuttavia non è mai un autoreferenziale compiacersi, travolga il racconto della storia della vita e, attraverso essa, della ricerca della scaturigine, dei segni materiali e spirituali, che portano il principe di Lampedusa a dare vita alla sua opera d’arte e del senso che gli stessi assumono da parte di chi, è sempre il principe di Lampedusa, si sente di “essere il superstite di un tempo scomparso” e della responsabilità di dare l’estrema testimonianza dello stesso.
Sì, perché, come ci dice il nostro biografo, proprio quella responsabilità, di dare testimonianza di un tempo che inesorabilmente scorre e che nella sua corsa, come un torrente in piena, porta con sé memorie che il principe disperatamente vuole sottrarre alla morte, genera la pulsione creativa che porta al romanzo. Così che opera d’arte e vita del personaggio Tomasi – e Savoia conferma quanto ebbe a scrivere il figlio adottivo dello scrittore – non possono essere separati al punto, ad esempio, che “Il Gattopardo preparò alla morte il Principe”, dunque all’esito finale della vita.
La morte, la morte che è la vera protagonista dell’opera e l’ossessione del suo autore, anche questo Savoia coglie con grande acutezza, evidenziando l’essenza stesso del Gattopardo, al di là delle banalizzazioni sociologizzanti che hanno riempito molte pagine di critica.
E per ultimo, uno sguardo alla storia quella vera, quella “dolente ed eterna” della Sicilia. Una storia di sconfitte, di degrado – interessante è il riproporre le pagine di Danilo Dolci su Palma di Montechiaro – di “irredimibilità” direbbe Sciascia.
Gradirei l’invìo contrassegno del libro di S,Savoia, biografia di G.Yomasi di Lampedusa. Grazie