Chi ha ucciso Droetto? Il mistero dei Vespri (IV)
(Pinella Bongiorno)
Amari sostiene che con l’esempio si ottiene molto di più che non con forbiti ragionamenti o ampollosi discorsi. Ed è quanto dimostra quel memorabile evento – il Nostro descrive i fatti che porteranno alla rivolta, mirando a far emergere suggestioni di matrice romantica – e, proseguendo con la narrazione: «Or narreremo quanto gli storici più degni di fede n’han tramandato […] il martedì a vespro, per uso e religione, i cittadini alla chiesa traeano: ed eran frequenti le brigate andavano, alzavan le mense, sedeano a crocchi, intrecciavano lor danze: fosse vizio o virtù di nostra natura, respiravan da’ rei travagli un istante, allorché i famigliari del giustiziere apparvero, e un ribrezzo triste strinse tutti gli animi. Con l’usato piglio veniano gli stranieri a mantenere, dicean essi, la pace. A ciò mischiavano nelle brigate, entravano nelle danze, abbordavan dimesticamente le donne; qui una stretta di mano; e qui trapassi altri di licenza; e alle più lontane, parole e disdicevoli gesti. Onde chi pacatamente ammonilli se n’andasser con Dio senza far villanie alle donne […] in questo una giovane di rara bellezza, di nobil portamento e modesto, con lo sposo, con congiunti al tempio avviatasi. Droetto francese, per onta o licenza, a lei si fa come a cercare d’armi nascose; e le dà di piglio, e nel bel seno alla man si fa strada. La pudica donna cadde in braccio allo sposo; lo sposo soffocato di rabbia: oh muoiano, urlò muoian questi francesi una volta. A ciò come folgore dall’accorsa folla s’avventa un giovan gagliardo; afferra Droetto; il disarma; il trafigge; ei medesimo senza dubbio trucidato pur cade; restando ignoto il suo nome, e l’essere, e se amor di colei, impeto di nobil animo, o altissimo pensiero il movesse a dar via al riscatto».9
Si rintraccia la stessa versione nella raccolta di Salomone Marino. Anche in essa si ha il medesimo smarrimento generale incluso quello comprensibile del marito, che a causa di ciò non fa in tempo a vendicare l’onta, tutto preso dal soccorrere la donna accasciatasi fra le sue braccia. Nel contempo« un ignoto eroe si avanza, e strappando il ferro dal fianco all’infame Droetto, glielo immerge nel seno».10
Mettendo a confronto i differenti resoconti dei cronisti, si ravvisano due linee inter pretative che affidano la vendetta ora ad uno sconosciuto giovane ora al marito. Chi infierisce sull’incauto Droetto?
Non nutre dubbio alcuno Indro Montanelli, il quale addebita la paternità del fiero gesto allo sposo, non potendo essere altrimenti, poiché «questi, ferito nel suo orgoglio di maschio siciliano, gli strappò la spada dal fodero e lo stese morto».11
In ogni caso, chiunque sia stato l’autore del gesto, rimangono indiscutibili i fattori scatenanti il furore popolare: le continue vessazioni, le angherie e i soprusi che il dominio angioino esercitò sulla popolazione. «Del resto lo stesso Carlo II in una sua lettera del 10 agosto 1298 non additava come causa della rivolta le trame di cospiratori locali o stranieri, ma, con molta franchezza, la sfrenata licenza degli ufficiali di suo padre»12 E se gli ufficiali si comportarono iniquamente con la popolazione, neanche il loro re fu un campione di giustizia e mitezza. I siciliani conservavano il ricordo del crudele trattamento riservato all’ultimo Hohenstaufen: il giovane Corradino fatto decapitare sulla piazza del Carmine, a Napoli, il 29 ottobre del 1268. Di altri delitti si macchiò Carlo I, protetto, benedetto e diletto paladino del francese papa Clemente IV. Per cui «non parlate di dominazione francese al popolano di Sicilia, non gli rammentate quell’epoca senza fine amara, che non trova riscontro negli annali delle nazioni e che per lui suona quanto di più terribile e straziante può immaginarsi […]; accade un sopruso, una violenza, una tirannia qualunque, o per parte di un governo o per parte di un privato? Ed ecco il popolo che, dolorandone, si domanda: Chi turnau lu tempu di li Franzisi? ».13Così Salomone Marino raccomanda di non rievocare quell’infausto periodo se non per glorificare l’eroismo di tutto un popolo.
Il breve spoglio della pubblicistica relativa il Vespro si può concludere – in armonia con lo spirito di perdono e carità dettato dalla Santa Pasqua – secondo quanto documenta Giuseppe Pitrè della pietas siciliana. Scrive: «nel monastero della Pietà, nel lunedì dopo la Pasqua di resurrezione, suole quelle monache recitare ogni anno un “Officio de’ Francesi” morti nel Vespro. Per pratiche che abbia fatte, io non ho potuto avere trascritta la orazione di questo officio funebre né conoscere la data approssimativa in cui il pietoso suffraggio cominciò a farsi; certo, però, è molto antico».14
9 M. Amari, Un periodo delle Istorie siciliane del secolo XIII, Palermo 1988, pp.56-57.
10°A. Rigoli (a cura di), Storia senza potere. Vicende nella tradizione contadina raccolte da Salvatore Salomone Marino, ed. Il Vespro, Palermo 1979, p. 75.
11 I. Montanelli- R. Gervaso, Storia d’Italia, Rizzoli, Milano 1967, vol X pp. 34-35.
12 C. Mirto, op. cit., p. 19.
13 A. Rigoli, op. cit., p. 71.
14 G: Pitrè, Il Vespro Siciliano nelle tradizioni popolari della Sicilia, Ed. Il Vespro, Palermo 1979, p.76.