L'identità siciliana
(Pasquale Hamel)
Il tema dell’identità siciliana è tutta una storia da indagare proprio perché nessuno, finora, ha seriamente messo mano ad una ricerca che non si accontenti di superficiali o retorici riferimenti.
La domanda iniziale che noi tutti ci dobbiamo porre, secondo quel metodo della “ricognizione dei termini”tanto caro ai sofisti alla Gorgia da Lentini, è che cosa si intende per identità.
E la risposta ovvia, ma non tanto, è che, calati nella storia come siamo, per identità dobbiamo intendere ciò che resta di costante e di fisso nello scorrere del tempo.
Una indagine sulle identità è, dunque, scoperta degli elementi di stabilità rispetto a quelli precari.
L’identità siciliana, più che altre identità, proprio per i forti tratti di fisicità che segnano i confini dell’Isola, è soprattutto legata alla sua storia, al succedersi nel tempo di eventi ma in primo luogo di culture “altre”.
E’ dunque un’identità come risultante di processi di integrazione di ceppi nuovi su tronchi antichi. E la Sicilia, proprio per questo motivo, ha sviluppato un’attitudine all’integrazione stupefacente che riesce a coinvolgere, nell’arco di pochi anni, in un unico destino il rapporto, che dovrebbe essere conflittuale, fra dominanti e dominati.
L’identità siciliana è, dunque, sedimentazione di identità che esprimono un sincretismo culturale, forse unico nella storia delle esperienze dell’Occidente.
Questo processo di integrazione è stato agevolato da un tratto significativo che indichiamo nella tensione al presente caratterizzata da un forte e maturo realismo.
Se infatti si scorre la storia di Sicilia e ci si sofferma su un qualsiasi evento, su una qualsiasi espressione artistica, sulle storie di personaggi “emblematici”, ci si impatterà sempre in momenti, temi e vicende caratterizzati da una materiale fisicità, da simbolismi realistici e da vite fortemente legate all’esistente piuttosto che proiettate in dimensioni simboliche o metafisiche.
Bisogna dunque partire da questa presa d’atto per ripercorrere le tappe della costruzione dell’identità siciliana.
C’è sempre un momento iniziale dal quale partire che è necessario indagare per comprendere gli sviluppi successivi.
Il “prima”, lo troviamo con la fondazione del Regno normanno, da allora parte il concetto di “nazione siciliana” allora si costruiscono gli istituti giuridici che inverano le tensioni spirituali della nazione siciliana.
In primo luogo l’unificazione del territorio e la creazione di un governo condiviso fra il potere unificante del sovrano e la pluralità dei comites, ciò che porta nel tempo, ad un equilibrio garantito dall’istituzione parlamentare, caso pressocchè unico negli assetti istituzionali coevi.
Un Parlamento che, seppure con i limiti dovuti alla composizione che ne restringeva la rappresentanza a minoranze elitarie, nel tempo è sempre più divenuto riferimento centrale e sede reale del potere.
Un Parlamento che, anche nei momenti più difficili, è stato presidio della nazione impedendo che la Sicilia fosse ridotta a provincia di imperi e regni che l’hanno dominata e la cui mancanza, per 87 anni (dal 1860 al 1947) ha costituito un profonda ferita per la stessa identità siciliana con la degradazione dello stesso spirito nazionale siciliano.Proprio in quegli anni si è insinuata l’idea, che qualche intellettuale siciliano ha nobilitato, che il ciclo identitario si fosse esaurito e che il “tramonto della cultura siciliana” fosse già da tempo in atto al punto che ciò ha facilitato l’omologarsi dei propri intellettuali “al carattere comune della cultura nazionale e internazionale”.
Da questo l’insinuazione del rifiuto della specificità del proprio essere nella più vasta realtà del nuovo Stato italiano, considerata espressione di mero provincialismo.
Gli anni del Regno d’Italia, sono stati gli anni del ripudio dell’identità, un ripudio favorito dal centro e confortato dai ceti dirigenti siciliani nel novero dei quali si ricomprendono anche molti degli intellettuali militanti.
Inoltre, la stessa identità è stata associata agli aspetti più degradanti, considerata brodo di coltura di fenomeni arcaici, dominio della violenza e delle non regole. La mafia, con una spregiudicata operazione di controinformazione, la si è detta quasi la traduzione della stessa identità.
E’ comprensibile, partendo da queste premesse che l’uomo politico siciliano più significativo del secolo XX, si lasciasse andare a dire “io mi glorio di essere mafioso”. Certamente, lo sappiamo, “il presidente della vittoria” non era un mafioso e non intendeva esaltare la mafia, ma reagiva, forse con termini inopportuni, a quel sentire bollare la identità siciliana del marchio indelebile dell’infamia.
Ma nonostante il poco encomiabile lavoro di demolizione protrattosi per tanti anni, oltre otto secoli di identità non potevano essere sepolti.
I tratti permanenti dell’identità riemergono dopo il disastroso esito del 2° conflitto mondiale.
L’Autonomia, nasce come inveramento giuridico di quei tratti e caratteri identitari permanenti che, per la prima volta, vengono riconosciuti come legittimi a tal punto da divenire il sostrato di una realtà che viene riconosciuta nella dignità paritaria rispetto allo Stato nazionale. Lo Statuto regionale è documento pattizio, l’incontro di due volontà quella siciliana e quella dello stato nazionale, di cui la prima viene pienamente riconosciuta nella sua soggettualità.
Le ricadute pratiche, l’insistenza sul dato rivendicazionista, peraltro non sempre valore virtuoso, sono corollari minori rispetto al grande fatto formale, per cui un’identità siciliana, misconosciuta, ora viene considerata esistente e in quanto esistente, soggetto stesso di diritti e aspettative.
Questo consapevolezza presente nel primo tempo dell’Autonomia, il tempo delle passioni e delle grandi motivazioni, purtroppo si è perduto nel corso del tempo. L’identità, l’Autonomia, non sono stati più considerati come valori in sé ma solo come strumenti per raggiungere obiettivi, rispettabili, ma sicuramente parziali.
Oggi, in un tempo in cui l’omologazione indotta dei media, ha fortemente inciso sui valori identitari, oggi nel momento in cui visioni globali rendono liquide gli elementi fondanti delle culture, l’attenzione di un ceto dirigente che vuole costruire il futuro non può non occuparsi dei valori identitari gli unici che possono dare sostanza ad un progetto politico che guardi oltre al contingente.