La festa delle donne di un tempo
(Leda Melluso)
Un tempo la mimosa scintillava al sole incerto di marzo e a nessuno veniva in testa di coglierla per venderla agli angoli delle strade. Niente cortei femministi con slogan da fare accapponare la pelle agli uomini, niente spettacoli con il bullo nerboruto ondeggiante sul cubo. Che soddisfazione! Per un giorno non più la donna-oggetto ma l’uomo-oggetto! Poi tutto torna come prima. In politica gli uomini, nei posti di potere anche, in cucina sempre le donne. Un po’ di pazienza, signore, guardiamo alla nostra storia. Sì, proprio alla storia delle siciliane, donne toste, pronte a prendere in mano la situazione nei momenti più difficili, donne protagoniste non solo un giorno all’anno! Altro che 8 marzo!
Un esempio? Dobbiamo tornare al 1764, anno di gravissima carestia. Per ovviare al problema il pretore della città, che era Agesilao Bonanno, principe di S. Antonino e duca di Castellana, tentò di imporre una tassa di due tarì su ogni finestra e porta degli edifici sacri e privati.
La reazione fu immediata e violenta: il bando del pretore , affisso alle cantonate, fu strappato in mille pezzi, i consoli della temuta maestranza dei conciapelli si allearono con i popolani per chiedere l’abrogazione della legge e un cartello con un teschio in rosso fu attaccato alla porta del Palazzo Pretorio. Ma il duca di Castellana sembrava irremovibile. Vi volete affacciare a prendere aria? E allora pagate! Volete entrare e uscire a vostro piacere da casa? E allora pagate. Volete vedere chi passa per strada? E allora pagate. La protesta montava di giorno in giorno tanto che cominciarono a circolare alcune pasquinate. In una di queste l’ignoto autore chiedeva al duca di sciogliere un dubbio che lo tormentava parecchio.
Signuri Duca, sciugghitilu vui:
si lu pirtusu ch’avemu darreri
è suggettu a lu bannu, o paga cchiui.
Il pretore, anche se schiumante di rabbia per l’irriverenza popolare, fece finta di niente. Un po’ come accade oggi quando i palermitani si lamentano con chi di dovere del degrado della città, senza ottenere nulla.
Un giorno, come al solito, uscì in carrozza per una bella passeggiata alla Marina. Era uno splendente pomeriggio primaverile, forse l’8 marzo. Giunto alle Mura delle Cattive, allungò il collo fuori dal finestrino. Chi gridava? Che cosa stava succedendo? E vide quello che non avrebbe mai voluto vedere. Le popolane della Kalsa, abbandonati pentole e picciriddi, dall’alto delle Mura inveivano contro di lui gesticolando. Il pretore rimase di stucco. Inviperite, indemoniate, sguaiate! Che lingue velenose! Che epiteti ingiuriosi! Come osavano? Ordinò al cocchiere di proseguire continuando a sbirciare con la coda dell’occhio. E quando passò davanti a loro, le volle sfidare con uno sguardo glaciale. Le popolane non si intimorirono affatto e con una mossa degna del can can , lo salutarono col didietro, all’unisono. Il duca agghiacciò. Fece dietro- front e, dato che non tirava l’aria giusta, finalmente ritirò il bando.