F. Chopin
A cura di Gabriella Maggio
In ricordo di Chopin, nato il 1 marzo 1810 a Zelagowa Wola , ripropongo un articolo di Mino Vignolo, apparso su “IL CORRIERE DELLA SERA “ dell’8 agosto 2001
L’ isola di Majorca era un paradiso mediterraneo quando Fryderyk Chopin e George Sand vi sbarcarono per trascorrere l’ inverno a cavallo fra il 1838 e il 1839. Era un paradiso molto povero per la maggioranza dei suoi abitanti che non potevano immaginare il benessere materiale che sarebbe piovuto sui loro discendenti grazie alla «balearizzazione», termine spregiativo con cui si condanna la selvaggia cementificazione di alcune parti dell’ isola ad uso del turismo tutto compreso. Il musicista polacco e la scrittrice francese formavano una coppia che suscitava stupore in una società chiusa, insulare, come era la società majorchina di quei tempi. Chopin aveva 28 anni e la sua amante, dietro il cui pseudonimo si celava la baronessa Aurore Dupin de Dudevant, era di sei anni più anziana. Presero alloggio nella certosa di Valldemossa, nella Serra de Tramuntana, per cercare di coniugare, nella tranquillità assoluta del luogo e nella sua perfetta scenografia, convivenza e creazione.
Obbedendo alle convenzioni del tempo, Chopin, più puritano, si fece passare per lo sposo ma nessuno, fra gli astuti isolani, credette alla sua messinscena. Lo scrittore majorchino Baltasar Porcel, narratore e saggista, autore di libri tradotti in molte lingue, conosce meglio di chiunque il passato e il presente di Majorca. Nella sua bella casa di Sant Elm, rifugio fra campagna e mare, parla con divertimento del lontano soggiorno del grande compositore e della scrittrice. «I majorchini guardavano con sospetto quella strana coppia non sposata in cui l’ uomo era molto più giovane della donna – racconta -. Per di più, Chopin era malato e si vedeva. Soffriva di tisi e la gente del luogo temeva che la malattia fosse contagiosa. George Sand, che non era tenera, diceva che il suo amante era un malato detestabile e difficile. Chopin era isterico. Aveva visioni notturne di frati morti, magari propiziate dal soggiorno nell’ antica certosa, e soffriva di senso di colpa. Pensava sempre più a Dio, meno alla sua compagna. E George Sand, che era anticlericale, si innervosiva. Il musicista aveva paura che la sua famiglia polacca, molto cattolica, venisse a sapere del suo legame, non consacrato dal matrimonio, con una donna francese molto chiacchierata. La cattiva fama di George Sand aveva superato i confini della Francia». Oggi la certosa di Valldemossa, situata in uno dei punti più belli e incontaminati dalla «balearizzazione», è centro di pellegrinaggio di migliaia di turisti che durante tutto l’ anno invadono le stradine del villaggio sulle tracce della coppia di artisti. Tutti vogliono visitare le celle monacali in cui si conservano partiture originali di Chopin, manoscritti di George Sand, i loro ritratti, il pianoforte utilizzato dal musicista per comporre alcuni Preludi. Come è normale in luoghi abitati da celebrità, fanno bella mostra frasi lasciate ai posteri come «abiterò un chiostro meraviglioso nel posto più bello del mondo» (Chopin) o «tutto quanto possono sognare il pittore o il poeta lo ha creato la natura in questo luogo» (Geor ge Sand). Nella realtà queste frasi furono vergate all’ inizio del soggiorno quando tutto era visto con occhiali tinti di rosa. Presto cominciarono le incomprensioni di coppia mentre si manifestava l’ ostilità dei nativi. Neppure il clima fu clemente. Quell’ inverno fu il più piovoso a memoria d’ uomo, il raccolto delle olive fu un disastro e ciò innervosì ancor più gli isolani che incolparono gli illustri ospiti di portare malocchio. «Non erano felici. La gente non li accettava – dice Baltasar Porcel -. Faceva freddo. La relazione non andava bene e dal punto di vista della loro creatività, soprattutto quella di lei, Valldemossa non era ciò che avevano sognato. Fu un brutto periodo. Mentre Chopin cercava di recuperare le forze prostrate dalla malattia, George Sand lottava contro la gente del posto che la detestava sempre di più. Possiamo immaginare la scena nella Majorca rurale della prima metà dell’ Ottocento. Lei, mentalità parigina, girava vestita da uomo, con un sigaro in bocca. Quando se ne andarono gli isolani tirarono un gran sospiro di sollievo. Lei, rientrata in Francia, cercò di vendicarsi con il suo libro “Un inverno a Majorca “ in cui parla benissimo dei paesaggi majorchini e malissimo degli abitanti dell’ isola». George Sand scrisse un libello e saldò i conti del suo soggiorno. Descrisse la volgarità e l’ ignoranza della gente, criticando tutto ciò che poteva criticare. Non si salvò neppure l’ olio d’ oliva, descritto come «rancido e schifoso». Ai majorchini furono riservati epiteti come scimmie, ladri e, con buona pace degli abitanti della Polinesia, «selvaggi polinesiani». Citò la frase di un altro francese che aveva scritto: «Questi isolani sono molto servizievoli, amabili ed ospitali. Già si sa che in tutte le isole la razza umana si divide in due categorie: i cannibali e i molto servizievoli».