Un invito al teatro dei Lions Palermo dei Vespri
(Carmelo Fucarino)
Immaginate che la moglie di un palermitano che conta, profittando del sonno profondo del marito, mascherata da uomo, ascelle cespugliose, barba finta, scarponi pesanti e bastone, si dia appuntamento con altre amiche influenti e occupi gli scanni di Sala d’Ercole a Palazzo dei Normanni. Non fateci caso, se parlano in perfetto dialetto di Ballarò, così vuole la sicilitudine e il copione, anche se donne dotate di idee simili non possono essere copie di Masaniello o dei bassi del Capo. Sole solette, in assenza dei mariti, che ti fanno? un colpo di stato. Si auto eleggono onorevoli dell’Assemblea Regionale e approvano una riforma rivoluzionaria. Per il reazionario Aristofane quale poteva essere da parte di donne: il comunismo alimentare e sessuale. Ci sarebbe da gioire per noi vecchietti. Il povero Blepiro (“colui che guarda”, il “Guardone”?) commenta la scomparsa della moglie, mentre giunge Cremete di ritorno dall’Assemblea che dà la portentosa notizia: d’ora in avanti solo le donne si occuperanno di tutto. La “capa” Prassagora torna a casa e vorrebbe convincere il marito di essere andata ad assistere, vedi alibi, una partoriente, ma infine deve rivelare la verità e esporgli il miracoloso progetto. Avrebbero governato le donne, che avrebbe messo tutto in comune, anche il sesso. Le vecchie e brutte avrebbero goduto di bei fusti, ma anche i vecchi di stangone. Vi lascio immaginare le gomitate e le occhiate e … le risse, sì come quelle dei nostri parlamentari a Roma. Cercate di immaginare le cose turche che avverrebbero alla Regione. Per una pallida immagine andate a vedere La Prattichizza dei nostri Lions.
Pensate con che imbarazzo dovettero accogliere lo sberleffo gli uomini di potere, primo magistrato fra tutti l’arconte-re pro tempore Demostrato e l’epimelete, seduti ai primi posti del teatro (allora come oggi), durante queste Lenee o feste di Dioniso Leneo (“del torchio”), con agoni comici tipicamente ateniesi nel mese di Gamelione, gennaio-febbraio, successive alle Piccole Dionisiache o agresti. Quella mattina fu la prima e ultima recita. Nelle Lenee si beveva il vino nuovo, durante un grande banchetto, nel quale la carne era fornita dalla polis, si svolgeva una processione con motti burleschi e sacrifici, legati ai misteri eleusini. Infine c’erano le gare dei comici con attori di grido. A differenza del teatro di Dioniso, alle falde dell’Acropoli (30 mila spettatori), dove si recitavano le tragedie, per le Lenee dal 442-440 fino al IV sec. a. C. si usò un teatro provvisorio nella zona dell’agorà, del mercato. Lo spettacolo era gratuito, sostituito poi con un obolo, a carico pubblico per i poveri.
Brutta fine per il teatro ateniese arcaico e per Aristofane che, mentre i deboli opliti ateniesi erano sconfitti per mare e per terra, perduto lo smalto e la mordacità antica, vorrebbe rinnovare gli antichi applausi, ricattando, pateticamente, i concittadini con lo spauracchio di un inverosimile comunismo, semplice utopia da filosofo. Oltre ciò un volgare realismo, tra stercorario e osceno, con metafore di sola matrice erotica, sesso e solo sesso che si dilata all’infinito.
La mordace parabasi è ora sostituita con la indicazione coro (choroù), un qualsiasi semplice intermezzo musicale. Per pura curiosità vuol anche stupire con la parola composta più lunga del mondo antico, e moderno: “ostrichetrancidipescesalato conigliogattuccipezzidicefaloinsalsapiccantesilfiooliomieletordimerlicolombacci colombellegallettilodolearrostocutrettolepiccioniselvaticilepricottenelvinomostarda alucce» (vv. 1169-1175). Provateci a recitarla, non ci riuscirebbero neppure i polmoni di Proietti.
Il successo di una simile proposta? In periferia a Lipari, area di altro tipo di commedia, quella dorica di argomento mitologico, ove impazzava il siceliota Epicarmo di Siracusa (VI sec. a. C.), osannato da Platone, nella tomba 1613, l’archeologo Luigi Bernabó Brea ha rinvenuto sette terracotte del IV sec. a. C. (Maschere e personaggi del teatro greco nelle terracotte liparesi, pp. 55-58) che ha attribuito a maschere usate nelle Ecclesiazuse. Esse coprivano il volto su una calotta di feltro ed erano di cartapesta, lino o cuoio. E gli accessori, parrucche, barba, capelli folti, berretto frigio, ghirlande, diademi. Polluce elenca 44 tipi comici. Brea ha identificato Prassagora con la maschera di donna giovane e bella, l’uomo bonario e sorridente con il marito Blepiro, la maschera stempiata e beffarda il passante, le vecchie brutte, una ilare con volto a forma di pera e l’altra di tipo negroide. Ma non è tutto. A Messina, area pure dorica e di ambiente comico siculo, su un cratere è rappresentata una vecchiaccia che concupisce un giovane con il volto estasiato rivolto ad una vergine in fiore, a destra Blepiro.