Correva l’anno 392 a.C.
(Carmelo Fucarino)
E ad Atene c’era ancora una fragile democrazia, dopo che nel 404 a.C., nel momento più buio della trentennale guerra del Peloponneso, la città dovette consegnare allo spartano Lisandro la flotta, abbattere le Grandi Mura del Pireo e accettare il sanguinario governo dei Trenta Tiranni. In quest’anno Aristofane (445- 382), dimentico delle sue grandi lotte politiche, pretende di affrontare essenziali questioni sociali, mettendo sulla scena donne con le “palle”. Cambia in effetti bersaglio e, da incorreggibile reazionario, sostituisce il suo abusato capro espiatorio, il tragico innovatore Euripide, con il rivoluzionario Platone, quello dell’Utopia della città dei filosofi. Non a caso i suoi compagni di partito nel 399 a.C. avevano condannato Socrate a bere la cicuta come “corruttore dei giovani”. Ma ogni Stato, definito per antonomasia democratico, ha la sua infamia. Perciò mentre la città è schiava, egli rappresenta un’improbabile Assemblea di donne che prendono il potere. Sono le “donne che si riuniscono in assemblea”, le Ekklesiàzousai ( Ekklhsiavzousai). Certo che, mentre i suoi strateghi prendono batoste a Coronea e a Nemea (394), egli fa ridere e consola i concittadini con l’evasione dalla realtà e l’attesa salvifica di una beffarda ginecocrazia. Irride ferree virago, armate di sesso, la statista Prassagora (da praxis e agorà, la signora “Piazzaffari”), che promette il paese di Bengodi, pane, pesci, focacce, vino, vesti, ceci, corone e … scopate gratis (perdonate, ma è un saggio del linguaggio di Aristofane che in quanto ad aischrologia, per dire “turpiloquio”, Sgarbi sembra un chierichetto), ma “chi vuole la bella dovrà prima farsi la brutta” (vv. 614-15) e così pure “le donne non potranno andare a letto coi fusti prima d’essere state gentili coi piccoli e brutti” (vv. 628-29), e l’eroica Lisitrata (da loùsis e stratòs, la signora “Scioglieserciti”), sicura che gli uomini, pur di fare sesso, farebbero la pace con chi ha reso schiava la patria. Ormai il secolo d’oro di Pericle è definitivamente tramontato e il nuovo procrea piccoli uomini, i graeculi, i grecetti, che sanno ubbidire al dominatore. Anche alle donne, – senza ombra di femminismo -, l’ubbidire è sempre misero e nefasto da qualunque sesso o partito provenga. E Aristofane (ben 11 commedie pervenute delle sue 40) ha perduto il suo élan vitale, il suo slancio politico, è anche lui uno sconfitto e rassegnato, sbigottito davanti al crollo degli ideali etici e politici. Basti considerare che in questa commedia manca per la prima volta la irriverente e violenta parabasi, un suo posticino riservato agli attacchi sarcastici contro le nuove classi e la corruzione e l’inettitudine dei politici. Seguirà l’ultima commedia pervenuta, il Pluto, ma è una favoletta consolatoria, sul dio della ricchezza, vedi tu, cieco.
Questo in verità Platone fece dire a Socrate nella sua Repubblica (Politeia)
Da tutto quanto detto prima ne consegue la legge: “Queste donne tutte siano in comune di tutti questi uomini e nessuna coabiti con nessuno in particolare. E anche i figli siano comuni, né il genitore conosca la sua propria prole, né il figlio il genitore” [V, 457d].
Da legislatore, “come tu hai trascelto gli uomini, così trascelte le donne, le consegnerai loro per quanto più è possibile uguali per natura. E loro, avendo comuni case e pasti, mentre nessuno avrà nulla di ciò di privato possesso, staranno assieme, e mescolandosi insieme negli esercizi ginnici e nella restante educazione saranno spinti per l’innata necessità a congiungersi tra di loro [V, 458 c-d].
– Ora tu fai generare da tutti indiscriminatamente, o provvedi che avvenga soprattutto dai migliori?
– Dai migliori.
– E che? dai più giovani o dai più vecchi o soprattutto da quelli nel fior dell’età?
– Da quelli nel fiore [V, 459, a-b].
(Hitler inventò la razza ariana, gli scienziati l’eugenetica. E millimetro per millimetro stiamo arrivando ai figli confezionati perfetti).