Per caso: quinta parte
(Gabriella Maggio)
Vittorio è in preda allo sconforto. Basta, è l’ultimo lavoro. Ha deciso. Qualche risparmio per tirare un po’ avanti, ce l’ha. Per vivere così, alla buona, senza grandezze, mentre cerca un’occupazione più tranquilla in un’altra città, più piccola, magari un paesino in riva al mare, un posto sconosciuto ai turisti, dove tanti pensionati si vanno a stabilire per il clima. E lì stare sdraiato a guardare il mare, divertirsi a coltivare fiori e ortaggi. E poi chissà trovarsi una compagna, un amico. Aveva evitato di avere il telefono fisso. Qualche volta gli sarebbe stato anche utile, ma lui voleva rendersi invisibile. Aveva ridotto all’essenziale la comunicazione con le poche persone indispensabili. Era soddisfatto dell’ordine e della comodità che aveva saputo creare in quel luogo inospitale. Aveva imparato a rendere vivibile anche l’inferno in tutti quegli anni. Mangiava poco, si preparava da sé i pasti, roba semplice, evitava i cibi già pronti. Faceva un po’ di ginnastica nella stanza, cercando sempre di non fare rumore. Nonostante gli esercizi giornalieri i suoi muscoli erano deboli e flosci. Avrebbe avuto bisogno di una palestra attrezzata, ce n’era una proprio lì vicino, ma preferiva evitare. Sperava che il sano regime di vita che si era imposto lo aiutasse a mantenere la buona forma fisica, che gli aveva spesso evitato di correre pericoli non solo di malattie, ma anche di altro genere. Però questa vita da monaco in solitudine, in silenzio, ora l’opprimeva, gli sembrava inumana. Sbrigava i lavori di casa da solo, di sera, a notte fonda, dopo essersi accertato che nessuna finestra era illuminata. Allora innaffiava le piante e puliva il cortile. ( continua)