Parlavamo
(di Gabriella Maggio)
Ti parlavo della Nike di Samotracia
nell’ ombra smorta
sotto la tettoia di plastica
davanti al verde cupo degli aranci
alte palme lontane erano mosse dal vento
La Nike è cieca
non ha testa né occhi né orecchie
ma il suo corpo sente e vede
s’inarca nel vento
si tende leggero altrove
sempre altrove
si offre all’abbraccio di tutti
così
senza amore
indifferente
non ha bocca per dire parole
non ha mani che sanno altre mani
solo piume leggere arruffate dal volo
Lei che vuole tutto l’amore
innalza e spegne desideri senza coraggio
Spaventa la furia della sua passione
che spinge indietro le sue ali
Spaventa il vigore che incolla le pieghe della stoffa sul corpo d’atleta
Sta lì nell’ampio vano
nella luce della grande finestra
fra poco la vedrai alta
davanti a te
Si svela lentamente a chi sale le scale
Appare poi terribile e inarrivabile
offre con orgoglio le sue mutilazioni
Non ha occhi e sembra vedere
non ha orecchi e sembra ascoltare
il trasalire lieve delle foglie
nel vento che s’ alza improvviso nel cortile
Questo ti dicevo nell’ombra fresca della tettoia
ma non ascoltavi
non capivi
Perché parlare di una statua così antica ?
Già mille volte hanno parlato di lei
e intorno a lei
ogni giorno più e più visitatori
s’accalcano intorno di corsa
ansanti e contenti
ansiosi
nulla sfugge alla rapida occhiata del loro obiettivo
Ma ostinata ti parlavo
ti rivelavo me stessa
ti offrivo i miei pensieri
restandone senza
Ma tu non ascoltavi
E io ti parlavo … parlavo… parlavo…